I film del weekend

Un western danese e storie di famiglie. L’offerta cinematografica è vasta.
L'attore Mads Mikkelsen (a destra) e il regista Nikolaj Arcel (a sinistra) dopo la proiezione del film "Promised Land" al 71° San Sebastian International Film Festival (SSIFF) a San Sebastian, nei Paesi Baschi (Spagna). EPA/Javier Etxezarreta

Escono, lo si sa, parecchi film. Anche italiani, spesso sovvenzionati dallo Stato e che purtroppo durano al massimo un fine settimana. In questo abbiamo scelto tre lavori differenti, storie personali e familiari, che vengono considerati molto interessanti per diversi motivi: partecipazione a festival, premi, autori notevoli.

La terra promessa (Promised Land)

Che ci fa il capitano Ludvig, reduce dalla guerra in Germania – siamo nel ‘700 – in mezzo alla deserta brughiera danese? Cocciuto e deciso, l’uomo secco e brizzolato, la faccia scavata, scarso di parole, ottiene dal re il permesso di fondare una colonia nella landa desolata, come un pioniere di un film western americano. Il problema è il signore dei terreni vicini, che considera suo anche quello assegnato a Ludvig. Si tratta di un giovane viziato, Frederik De Schinkel (Simon Bennebjerg), crudele con tutti, stupratore seriale delle serve. I due entrano in conflitto. Il capitano non demorde, anche se il signore in mille maniere lo assalta, tentando di distruggere il raccolto, i coloni, lui stesso. Ludvig a sua volta è determinato a fondare la sua colonia, a conquistare un titolo nobiliare, a elevarsi socialmente. Risulta insensibile anche all’amore, fino ad un certo punto. Intorno a lui si muovono persone come gli zingari, i coloni, si vivono drammi, incendi, torture. In verità, il regista Nikolaj Arcel vuole descrivere nel giovane e crudo signore la follia impaurita del politico di sempre, che teme di perdere il potere ed è disposto a tutto; e nel capitano il sogno di un uomo di classe sociale inferiore di realizzare sé stesso, lottando contro tutti, finendo poi per accorgersi che nella vita ci sono valori importanti da non trascurare.

Film western alla danese, talora doloroso, desolato, cupo ma con squarci di natura di intensa bellezza, recitato da Mads Mikkelsen con grande partecipazione personale, regolato da un ritmo asciutto, incalzante ed emotivo. La terra promessa trovata, perduta e ritrovata è più di una promessa: è la scoperta del senso profondo della vita. Da non perdere.

Drammi familiari

Said Ben Said, Clotilde Courau e Catherine Breillat alla prima di “Ancora un’estate” a Cannes. Foto Ansa/EPA/MOHAMMED BADRA

Regista ribelle, Catherine Breillat torna ad esaminare il suo specifico, ossia la legge del desiderio che muove gli impulsi degli uomini e delle donne. Ancora un’estate, in concorso a Cannes l’anno scorso, è la vicenda di una famiglia borghese, lui manager, lei avvocato di successo con due bambine adottate. Felici, casa bellissima, vita impegnata. Arriva il figlio del marito, Theo, diciassettenne bollente ed anarchico, che sconvolge la vita del gruppo. Anne (Léa Drucker) dapprima è irritata con il ragazzo (Samuel Kircher) ma lui poi la seduce e tra la donna e il figliastro scoppia la passione. È l’incesto che Anne cerca di nascondere ricattando il ragazzo che però lo rivela al padre. Crisi profonda per il marito Pierre: è vero o non è vero, si crede al ragazzo o ad Anna che nega? Verità nascoste, ipocrisia, sopportazione, passione irrefrenabile. Elementi in verità già raccontati dal cinema e che rendono il film francamente un po’ vecchiotto come tema, nonostante lo splendore realizzativo (fotografia, recitazione accurata, volti in primo piano). La distruzione dei tabù, come l’incesto, è cosa già avvenuta nel cinema per non parlare delle solite storie borghesi, amate dai francesi intellettuali. Bella tecnica, storia raccontata. La Breillat forse ha già detto tutto?

Gli attori Claire Foy e Andrew Scott alla prima londinese di “Estranei – All of us strangers” Foto Ansa/EPA/ANDY RAIN

Si può vivere in famiglia e sentirsi estranei da tutto, incapaci di salvarsi dal dubbio se venire accettati o meno, dal fare i conti con le ombre del passato che ci perseguitano? Scorrono questi pensieri per la mente inquieta dello sceneggiatore solitario e in crisi nella Londra attuale glaciale e individualista. Estranei (All of us strangers) è appunto il titolo del film di Andrew Haigh con Paul Mescal ed Andrew Scott. Lo scrittore è in realtà gay ma rivelarlo ai suoi è stato durissimo – lo ha poi fatto veramente? -. Ricordi del passato, visioni dei familiari morti con cui soffermarsi a parlare liberamente, a cercare di essere amati e capiti: è realtà o sogno? Lo scrittore viaggia pericolosamente tra onirico e realtà. Si può incontrarsi con un’altra persona, ma rimanere fondamentalmente degli estranei finché la morte non ci sorprende: allora ci si chiude nel passato o si accetta la vita per quello che è, solitudine?

Sono le domande che questo racconto reale e simbolico si pone e ci pone. Recitato e girato con intensità e verità, il film un poco claustrofobico è immagine chiara di una Londra-mondo di reciprocità inevase e al contempo di un irrefrenabile desiderio di un amore- a partire dalla famiglia – che sia vero, autentico. Aperto alla felicità. Commovente, spiazzante, riflessivo.

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