Giacomo Matteotti, un nostro contemporaneo

Le numerose tracce da seguire nella vita del politico ucciso dal regime fascista nel 1924
1924- Giacomo Matteotti parlamentare ANSA/ WIKIPEDIA

Il 10 giugno 1940, dal balcone di Palazzo Venezia, Benito Mussolini si affacciò per annunciare l’entrata in guerra dell’Italia, «per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo». La folla era rapita dalla retorica del politico massimalista che si fece “duce”: «scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente».

Ancora oggi ci interroga sulle cause della dominazione totalitaria assunta dal fascismo in Italia, come dal nazismo in Germania. Una dinamica raccontata, con lucidità, nel testo “Marcia su Roma e dintorni”, scritto nel 1931 da Emilio Lussu, ormai esule in Francia.

L’ultima possibilità per fermare il regime delle camicie nere rimanda a un altro 10 giugno, quello del 1924, quando una squadra d’assalto di ex arditi della “grande guerra” aggredì e uccise il deputato Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, che il 30 maggio aveva pronunciato alla Camera un duro atto di accusa contro le violenze squadriste che avevano falsato i risultati delle urne del 6 aprile, già compromesse da una legge elettorale (Acerbo) approvata con la forza nel 1923.

Scrivania di Matteotti presso la biblioteca della Camera. Foto Common Wikipedia

Matteotti, estraneo a ogni retorica, era riconosciuto e temuto per la concretezza e competenza dei suoi numerosi interventi preparati con molte ore di studio nella biblioteca della Camera. Giurista ed economista, scriveva su testate internazionali. E proprio da quelle fonti si è avuta la conferma della sua intenzione di denunciare pubblicamente le trame finanziarie che coinvolgevano gli ambienti fascisti e quelli della monarchia. Riguardavano il controllo e l’incentivazione dei casinò a favore di reti affaristiche trasversali e la concessione in esclusiva delle estrazioni petrolifere alla società statunitense “Sinclair Oil”.

Si spera che la legge approvata all’unanimità dall’attuale Parlamento, su iniziativa della senatrice Liliana Segre, per incentivare lo studio sulla figura di Matteotti, sia l’occasione per andare a fondo in una storia che merita molti approfondimenti.

Di fatto, i suoi sicari non hanno mai pagato per il delitto commesso. Sia per il depistaggio orchestrato ai tempi del regime e, in seguito, per l’amnistia intervenuta nel 1946, su iniziativa del ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, in nome della pacificazione nazionale post bellica.

Un tratto biografico determinante su Matteotti riguarda la sua radicale opposizione alla guerra, che affondava le radici nel sentire comune delle masse contadine della Val Padana, intrise di una forte concezione di fraternità tra i popoli, molto viva in esponenti socialisti come Camillo Prampolini e Nicola Badaloni. Esiste una diffusa iconografia popolare di Cristo come “primo socialista della storia” e, quindi, all’adesione all’internazionale dei lavoratori che non dovevano scannarsi tra loro ma disobbedire al volere dei capi delle nazioni. Una visione comune alle leghe contadine dei cattolici guidate da Guido Miglioli nel cremonese.

Matteotti, nato nel 1885, si schierò, fermando i carichi di armi, contro le avventure coloniali dell’Italia e la tragedia della prima guerra mondiale, prendendo a esempio il parlamentare tedesco Karl Liebknecht che rifiutò, da solo, di approvare i crediti di guerra. «Quell’uomo salva l’internazionale» scrisse sul periodico “La Lotta” nel 1914, ma il fronte socialista in Italia si spaccò, con Mussolini approdato all’interventismo più accesso di marca dannunziana, e la tentennante posizione ufficiale del partito che pose in minoranza l’opzione di Matteotti. Questo era favorevole, invece, a una radicale opposizione popolare contro una guerra che sapeva portatrice di altri peggiori conflitti. “L’inutile strage” non solo ha segnato profondamente la società italiana fino ai nostri giorni, si veda il testo “Convertirsi alla guerra” dello storico Mario Isneghi, ma produsse l’orda di violenti radunati nei fasci di combattimento, saliti al potere nel 1922 grazie alla decisione del re Savoia di non reprimere la marcia su Roma.

Giuseppe Donati, Direttore de Il Popolo Foto Common Wikipedia

L’assassinio di Matteotti segnò l’ultima possibilità di abbattere il fascismo per lo sdegno provocato in un tessuto sociale ancora reattivo in Italia, nonostante le divisioni dell’opposizione, ma molte forze premettero per mantenere lo status quo.  Il gesuita Giovanni Sale, docente alla Gregoriana, ha ricostruito lo scontro tra la posizione della Santa Sede, che, anche con riferimento al giubileo del 1925, temeva il caos della rivolta conseguente al delitto Matteotti, e alcuni esponenti del partito popolare come Francesco Luigi Ferrari che sul Domani D’Italia contestò la tesi del salto nel buio e anzi affermò che «nella libertà cesserà il terrore, si soffocherà la guerra civile che da tre anni tormenta tutti, riacquisterà la patria prestigio e prosperità». Ferrari morì da esule in Francia nel 1933. Stesso destino nel 1931 per Giuseppe Donati che, direttore de “Il Popolo” e grande giornalista d’inchiesta, denunciò i mandanti dell’omicidio Matteotti.

Il mancato abbattimento, per via istituzionale, di Mussolini consolidò il suo potere con le leggi eccezionali del 1925. Tracce per un percorso da approfondire.

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