Società italiana e guerra in Terra Santa, un segnale da Firenze

Maggioranza e opposizione hanno trovato alla Camera un modo per chiedere il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, ma resta irrisolto il nodo del mancato riconoscimento dello Stato di Palestina. Una proposta avanzata a Firenze per un’azione dalle città che può fare strada.
Immagine diffusa da Israel Defense Forces il 2 novembre 2023. L'esercito israeliano sta continuando "a colpire terroristi e distruggere infrastrutture del terrore" nella Striscia. Lo ha fatto sapere il portavoce militare secondo cui nella notte "i soldati si sono scontrati con numerose cellule terroristiche nel nord della Striscia di Gaza uccidendo decine di terroristi". ANSA/ ISRAEL DEFENSE FORCES +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++ NPK +++

La carneficina in corso nella Striscia di Gaza scuote le coscienze e incide sulla politica in Italia. Anche il ministro degli Esteri Tajani ha parlato di “reazione spropositata” da parte dell’esercito israeliano dopo la strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre. Lo stesso massimo esponente di Forza Italia è stato testimone degli effetti dei bombardamenti sui bambini palestinesi rimasti feriti e accolti in Italia grazie alla pressioni della custodia francescana di Terra Santa. Bambini che, una volta curati, dovrebbero tornare nella loro terra sconvolta dai combattimenti.

La novità più significativa è arrivata dal voto della Camera che ha accolto la mozione del Pd grazie all’astensione dei deputati della maggioranza, in merito all’impegno a chiedere il cessate il fuoco davanti ad uno scenario che si fa ogni giorno sempre più tragico. È un passo avanti dalla posizione espressa dall’Unione europea di richiesta di “pause umanitarie” ma che finisce per scontrarsi con la tesi del governo israeliano convinto della necessità di continuare l’intervento militare fino all’eradicazione da Gaza dell’organizzazione politico militare di Hamas.

Gli ambienti che sostengono Netanyahu ritengono che la reazione dell’esercito di Tel Aviv non sia affatto sproporzionata. Secondo Clifford D. May, dell’agenzia di stampa Jewish News Syndicate (JNS), «nonostante la sistematica strategia di Hamas di usare scudi umani, il rapporto tra vittime civili e vittime combattenti è uno dei più bassi che si sia mai registrato nelle guerre moderne in ambiente urbano, come ha spiegato lo storico Andrew Roberts alla Camera dei Lord di Londra, e come ha attestato John Spencer del Modern War Institute di West Point». La maggior parte degli studi – afferma Israele.net che riporta l’articolo – «stima tra 8 e 10 vittime civili per ogni combattente ucciso, mentre a Gaza il tasso si aggirerebbe nel peggiore degli scenari fra 2 e 3 civili per ogni combattente».

È diffusa inoltre negli stessi ambienti la convinzione, esplicitata anche dalla nota diplomatica di critica alla dichiarazioni del cardinal Parolin, del coinvolgimento della stessa popolazione civile che avrebbe sostenuto l’infrastruttura terroristica di Hamas. Sono affermazioni molto pesanti su una pretesa colpa collettiva della popolazione palestinese, che non possono essere ignorate dai giudici della Corte internazionale di giustizia dell’Aja.

Non sono silenti le voci ebraiche che rifiutano tali ricostruzioni della realtà. Valga come esempio la testimonianza, riportata da Avvenire, di Yoatam Kpnis, figlio 29enne di Liliach Lea Havron e Eviatar Kipnis, coppia italo-israeliana assassinata da Hamas nell’attacco al kibbutz di Be’eri. «Non scrivete il nome di mio padre su una bomba» è stato il suo appello durante i funerali dei genitori con riferimento all’usanza di porre il nome delle vittime o la propria  firma sugli ordigni destinati a colpire gli obiettivi nemici. Una foto che ha fatto il giro del mondo coglie l’attimo della firma del presidente israeliano Herzog su un bomba in partenza per Gaza.

La richiesta del cessate il fuoco è passata alla Camera grazie ad un accordo diretto tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la segretaria del Pd Elly Schlein che si è concretizzata in un gioco di voti favorevoli e astensioni, esteso alla sacrosanta richiesta della liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani nella mani di Hamas, ma si è arrestata sulla soglia della richiesta del riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Unione europea. Un’istanza che dovrebbe essere fisiologicamente connessa con la tesi ufficiale, fatta propria anche dall’Italia, della soluzione di pace basata su due stati.

Questa premessa di un riequilibrio della posizione di diritto tra Israele e Palestina, a prescindere dalla difficoltà ad articolarsi in un territorio estremamente frammentato, è stata evidenziata nella manifestazione “Pace in Medio Oriente, la forza delle città” che si è svolta domenica 4 febbraio a Firenze con la partecipazione di rappresentanti della comunità ebraica e di quella palestinese nel solco dell’insegnamento di Giorgio La Pira per un Mediterraneo di pace.

Un incontro molto affollato che si è tenuto nella grande Sala dei 500 di Palazzo Vecchio, con la presenza di delegazioni di diversi comuni italiani a partire da Roma, ma che è rimasto misteriosamente ignorato dalla stampa mainstream.

Su cittanuova.it abbiamo già riportato il ricco e articolato intervento della presidente della Fondazione La Pira, Patrizia Giunti.

E proprio a partire dalla lezione lapiriana, che pone l’alleanza tra le città (“che non devono essere distrutte!”) quale motore della storia che si ribella alla guerra, è arrivata la proposta di Lisa Clark, portavoce della campagna internazionale di abolizione delle armi nucleari (Ican), di promuovere una mozione per il riconoscimento dello stato di Palestina da far discutere e approvare nei consigli comunali di città italiane, grandi e piccole, come forma di partecipazione democratica diffusa.

È un percorso già sperimentato con la mozione Assisi di sostegno di diversi comuni alla mozione di blocco all’invio di missili e bombe prodotte in Italia verso l’Arabia Saudita coinvolta nel conflitto in Yemen. Anche la campagna “Italia ripensaci” chiede ai comuni di sostenere l’adesione del nostro Paese al trattato di messa al bando delle armi nucleari.

Secondo La Pira, un sindaco, cioè l’amministrazione di un municipio, deve cambiare le lampadine nelle strade, occuparsi di un’infinità di cose pratiche per il bene comune e allo stesso tempo costruire la pace.

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