Gente di confine

In uscita il film della regista polacca Agneszka Holland Green Border ("confine verde") sugli immigrati. Un dramma dolorosamente attuale. In Italia Saverio Costanzo presenta Finalmente l’alba.
Immagine dal film "The Green Border" (foto Agata Kubis)

Finalmente? È la domanda che angosciosamente si fanno un gruppo di immigrati – siriani, afgani, africani – al confine tra Bielorussia e Polonia: alternativamente accolti e poi rispediti tra i due paesi di frontiera, col risultato che vagano tra boschi e paludi rischiando la vita. Non è una fiction ma la verità, attuale. La regista polacca non ha paura di affermarlo in sequenze rapide, incisive in bianco e nero. Un dramma per la famiglia siriana, che perderà un figlio nella foresta, per una donna afgana, per un gruppo di ragazzi africani. Sballottati da una rete metallica di confine all’altra: inviati dalla Bielorussia che li ha ingannati entrano in Polonia e il governo polacco, durissimo, li rispedisce in Bielorussia.

Sono storie vere di dolore e di morte. Il film evidenzia anche altre figure: i volontari polacchi che hanno un cuore e a loro rischio e pericolo accolgono i profughi nonostante la durezza dell’esercito, la guardia di frontiera appena sposata che va in crisi davanti a questa disumanità.

Il film è duro, chiaro, ispirato nel dare valore universale a questa tragedia umana nella sua crudezza. Ma porta pure un soffio di speranza perché c’è gente che rischia per salvare vite e gente che si interroga se la linea di un governo duro sia quella giusta. Il problema che il film pone alla fine è: bisogna essere disumani o umani? Bisogna o no ubbidire a leggi contro gli uomini che cercano una nuova terra?. Il filo spinato che separa gli uomini in cerca di vita è il simbolo di un film che racconta in modo indignato la mancanza di amore che porta a far morire gente innocente. Spiazzante, autentico, premiato a Venezia, è un film assolutamente da non perdere. Per tenere sveglia la nostra coscienza e da far conoscere ai più giovani.

 

Finalmente l’alba di Saverio Costanzo

Immagine dal film “Finalmente l’alba” (foto Eduardo Castaldo)

Un omaggio a suo padre Maurizio Costanzo. È il film del figlio che rilegge Cinecittà degli anni Cinquanta con le star americane a girare peplum affascinanti per l’Italietta, in particolare per la popolana romana Mimosa, una ragazzina che si trova a fare la comparsa. Occhi grandi, puliti, spaventati e ammirati, entra senza accorgersene nel mondo dorato e falso della Dolce vita, fra star viziate e viziose, un autista-gallerista-angelo ambiguo (Willem Defoe),dolci inganni e la perdita dell’innocenza. E l’umiliazione. Fino a trovarsi improvvisamente cresciuta, adulta e coraggiosa nei mesi del 1965 in cui veniva trovato sul lido di Ostia il cadavere di una ragazza aspirante attrice, Wilma Montesi. Sembrerebbe questo dramma quasi un simbolo in negativo di un ambiente cinematografico ambiguo.

La ragazza che dopo una notte balorda si trova sola ha vissuto il suo momento più drammatico nella umiliazione pubblica: negli occhi lacrimosi il regista ha fatto uscire l’anima, forse il momento migliore di un film corale, ben costruito, con qualche dilatazione di troppo. E con una malinconia un po’ amara per l’innocenza sfiorita in un ambiente senza poesia.

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