Caravaggio e Goya, verità e ribellione

A Roma, ai Musei Capitolini, dialogano tra loro i due artisti. Due epoche diverse, uno stesso sentimento.
Musei capitolini, foto di Ricardo André Frantz (User: Tetraktys), CC BY-SA 3.0, Wikimedia commons

Guardiamole bene queste due tele, L’Ombrellino di Goya che viene dal Museo del Prado ed è del 1777 e La Buona ventura del Caravaggio, dei Musei Capitolini, del 1593-94. Il primo rappresenta una ragazza vispa, dalle guance rosse, con il  ventaglio in mano e un ragazzo che le fa ombra con l’ombrello, tra colori ridenti, luminosi. C’è leggerezza, scherzo, specie nel ragazzo vestito da guapo,  cioè da popolano di periferia con la giacca corta, la fasce alla vita, la retina nei capelli che lusinga la ragazzina che vuol fare la dama.

Nella seconda tela, La Buona ventura del Caravaggio, il ragazzo ben vestito, con la spada al fianco, il cappello piumato, le guance paffute di adolescente, porge la mano alla zingara scaltra, che lo guarda sicura di indovinare un futuro che gli interessi e le ottenga una buona ricompensa. Intanto, sfila l’anello dalle dita del giovane e con lo sguardo gli promette un altro tipo di favori. Colori freschi, luce calda, quella del Caravaggio giovane.

La buona ventura del Caravaggio foto di Pubblico dominio, Wikimedia commons

Sono due scene di verità: personaggi del popolo, il guapo e la zingara che cercano di imbrogliare, o facendo i signori o derubando i signori. È il mondo che piace ai due pittori, e lo dipingono con evidente allegria, con la tavolozza ancora sgargiante, viva, lontana dagli anni futuri quando si incuperà per entrambi. Ora, sia Goya che Caravaggio sono ambiziosi, decisi a far colpo, ad andare controcorrente, hanno un riso nel cuore, giocano con l’arte, pare con innocenza. Fino ad un certo punto, perché sia il guapo come la zingara proprio innocenti ed ingenui non sono, come i due pittori, perché la malizia nel ragazzotto e nella gitana si notano, eccome, anche se gli artisti ce la mostrano con elegante disinvoltura.

Verità dunque, in entrambi i casi. Ma è solo questo? A ben vedere, i due pittori hanno il sangue caldo. Le due scene – squarci di vita reale – dicono senza troppi sottintesi cosa pensano i due artisti. Goya, che diventerà addirittura pittore di corte salvo poi lasciarla, crea una scena divertita, lieve, ma fino ad un certo punto: i due giovani sotto l’ombrello sembrano due popolani che prendono in  giro i damerini di corte, una ironia leggera che negli anni si farà greve. Caravaggio sfida i dipinti classicisti del suo tempo affacciandosi spavaldamente alla vita vera, e crescendo lo dimostrerà ancora meglio. Sono sfacciati i due pittori della realtà. Ma quanto gli sono simpatici questi ragazzi scaltri, però. Anche a noi.

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