Lucas e il coraggio estremo di una madre
Venerdì 26 febbraio, in un pomeriggio qualsiasi di questo tempo sospeso tra le feste di Natale e il Carnevale, i bambini mascherati da tigrotti, supereroi o principesse animano di risate e giochi le strade, all’uscita delle scuole, tenendo la mano dei genitori o accolti nei pulmini delle ludoteche che li accompagnano nel pomeriggio in attesa di mamma e papà.
In una giornata così, ad Aprilia, a mezz’ora da Roma, si è consumato un dramma, molto antico, ma che genera ogni volta ferite profondissime segnando una linea che farà da spartiacque tra un prima e un dopo nella vita dei protagonisti.
Intorno alle 19.30 una giovane donna ha lasciato il proprio bimbo in passeggino nel pronto soccorso della Clinica Città di Aprilia. È qui che dopo circa 15 minuti lo ha trovato un’infermiera del 118 che, dopo aver cercato la mamma nei bagni e nei d’intorni dell’ingresso, ha allertato i medici che immediatamente hanno preso in custodia il bambino di circa 8 mesi. Lucas, così è stato chiamato, ha sorriso a chi si è avvicinato a lui ed è apparso curato e in buone condizioni.
Non è raro imbattersi in storie come questa e ogni vota le riflessioni sono molte e contrastanti; ci si sofferma sulla scelta estrema di staccarsi dal proprio figlio considerata quasi un sacrilegio. Sarebbe però importante mettersi nei panni di questa donna; quale dramma stia vivendo, quali le difficoltà che le hanno impedito di tenere il bambino. Quanto dolore prima di separarsi da lui, per il suo bene, per consentirgli di avere una vita migliore in una famiglia con condizioni economiche e sociali più adatte a far crescere un figlio.
Qui bisognerebbe aprire un discorso più lungo e articolato sul perché non si riesca ad intercettare queste vite difficili e quindi accompagnarle prima che si manifestino le condizioni che giustificano queste tragiche scelte. Consultori pubblici sottodimensionati, isolamento sociale, crisi personali sono gli elementi favorenti epiloghi come questo che, almeno in un tale caso, ha consentito la protezione del minore.
A rendere più drammatica tutta questa vicenda si è aggiunta la scelta scellerata di alcuni telegiornali e giornali importanti di pubblicare il video delle telecamere dell’ospedale che riprendono la donna mentre sistema il bimbo nella sala d’attesa e poi va via…
Un comportamento contrario alla deontologia professionale dei giornalisti e del rispetto della riservatezza che è stato stigmatizzato dal Garante della Privacy e dal Coordinamento per le pari opportunità dell’Ordine nazionale dei giornalisti che hanno chiesto l’immediato ritiro del video e procedimenti disciplinari per chi lo ha diffuso.
La legge italiana consente alla madre di non riconoscere il bambino al parto e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Questo è un aspetto fondamentale per proteggere i minori, impedendo che per paura o vergogna si abbandonino i piccoli in condizioni non sicure.
In questo caso, essendo il bambino già stato riconosciuto, potrebbe paventarsi il reato di “abbandono di minore” per il quale è stata aperta un’indagine dalla locale Compagnia dei Carabinieri immediatamente allertati che hanno portato il bimbo in una casa d’accoglienza del territorio.
Possiamo solo lontanamente immaginare la lacerazione interiore che ha condotto questa donna ad un gesto così estremo. È difficile esprimere giudizi. È fondamentale che la mamma, dopo aver nutrito e custodito con cura il suo bimbo per alcuni mesi, abbia scelto una struttura che si è immediatamente fatta carico di accoglierlo e proteggere la sua incolumità. Molte sono le coppie in attesa di intraprendere il cammino dell’adozione e anche in questo caso, se non ci sarà un ripensamento, dopo un paio di mesi, il bambino sarà accolto in una famiglia dove comincerà la sua nuova storia familiare amato e protetto.
Appena si è diffusa la notizia, è cominciata una gara di solidarietà con donazioni di passeggini, vestitini, giochi per questo piccolino che ha commosso tutti.
Interpellato da un giornalista del quotidiano Avvenire, anche il vescovo della Diocesi di Albano di cui Aprilia fa parte, mons. Vincenzo Viva, ha espresso la sua partecipazione a questo evento e cogliendo la situazione di “povertà e disperazione” che hanno generato «questa scelta così dolorosa, sicuramente frutto di un lungo tormento interiore», ha fatto un appello a questa mamma, invitandola a rivolgersi in completo anonimato a qualsiasi parroco della diocesi per essere accolta e sostenuta dalla Caritas e dal Consultorio familiare, che è presente sul territorio da 20 anni, offrendole un aiuto a 360 gradi.
Non sappiamo se la donna risponderà a questo appello, di certo sappiamo che dopo aver dato alla luce questo figlio (e anche questo non è scontato), lo ha protetto in un estremo atto di amore che gli consentirà una vita più serena, cosa che probabilmente lei non avrebbe potuto assicurargli.
Un monito per la nostra società distratta dove ci si indigna quando il danno è fatto e dove non si riesce a porre in atto vere politiche di sostegno alla maternità fatte di aiuti economici, sicuramente, ma anche e soprattutto di spazi relazionali caldi in cui le madri e i padri si sentano accolti e possano chiedere aiuto prima di arrivare ad uno strappo così che, una volta fatto, non si ricucirà mai.
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