Soglio: È importante evidenziare buone pratiche che generano benessere sociale
Un’esperienza unica tra i grandi quotidiani nazionali e rarissima anche a livello internazionale: ritagliare spazio per raccontare Buone Notizie, l’impresa del bene. È il Corriere della Sera che accetta la sfida. Nel 2015, dopo Expo Milano, e non senza fatica, Elisabetta Soglio, milanese, vice capo cronista ad Avvenire dal 1988 e poi al Corriere da trent’anni, responsabile di Casa Corriere ad Expo 2015, convince prima il direttore Fontana e successivamente il presidente Cairo arrivato nel 2016 a portare avanti questo progetto. Si parte nel 2017. Ce lo racconta lei stessa in questa chiacchierata con Città Nuova.
Dottoressa Soglio come nasce l’idea di Buone Notizie?
Ho fatto per molti anni la cronista a Milano, seguendo Palazzo Marino ed argomenti amministrativi e politici, ma con attenzione al sociale per mia estrazione familiare e di comunità. Ho avuto occasione di incontrare tantissime realtà che operano nel sociale, nel volontariato, nelle parrocchie e nel tempo anche confrontandomi con personalità importanti e vicine a questo settore, c’è stata una spinta a raccontare il mondo del volontariato, a “contaminare” il Corriere come mi diceva il prof. Stefano Zamagni, accendendo i riflettori su un pezzo di realtà che nessuno raccontava al grande pubblico, fuori dalle riviste di settore. L’idea è venuta ad Expo 2015, dove coordinavo Casa Corriere, e dietro di noi avevamo Cascina Triulza, il primo spazio in una Expo dedicato alle organizzazioni della Società Civile e del Terzo Settore. Mi sono resa conto che il Terzo settore era un mondo molto più grande di quanto immaginavo e che il Corriere non lo stava raccontando, perdendosi qualcosa. Da lì siamo partiti col percorso.
Ha incontrato resistenze?
Inizialmente il direttore De Bortoli mi manifestò qualche perplessità, si sa che nel giornalismo valgono le tre S: sesso, soldi e sangue, che fanno vendere copie o, nel linguaggio di oggi, fare click. Allora c’era un inserto dal titolo “La Città del Bene” in Cronaca di Milano. Poi con l’aiuto di un amico misi insieme un business plan che presentai al nuovo direttore Fontana nel 2015. Il direttore ci diede fiducia e il suo aiuto è stato in seguito fondamentale, assieme ad alcune personalità che poi sono entrate nel comitato scientifico: Guzzetti, Zamagni, Letizia Moratti, per convincere la proprietà ad investire sul progetto Buone Notizie.
Oggi che rapporto avete con la rete del terzo settore e del volontariato?
Abbiamo delle collaborazioni costanti, ad esempio con il Forum del Terzo Settore o col Centro Servizi del Volontariato (CSV). Inoltre organizziamo a Milano la Civil Week che è un evento dedicato alla sussidiarietà e all’economia solidale. Siamo arrivati alla quinta edizione e quest’anno la grande novità è che diventa Milano Civil Week, una settimana patrocinata dal Comune, quindi la sussidiarietà e l’economia solidale per la prima volta acquisiscono la stessa importanza della moda, dei mobili e del design. So che è presente anche il Movimento dei Focolari con l’Associazione Arcobaleno e lo conosco perché a Concorezzo da dove provengo c’era un gruppo attivo.
In un mondo dilaniato da molte guerre, che senso ha raccontare buone notizie: non rischia di fare un esercizio consolatorio e lontano dall’attualità?
Il rischio che ogni giorno cerchiamo di evitare è cadere nel buonismo o nel pietismo, vogliamo fare altro. L’idea è di raccontare un pezzo di realtà, di fare cronaca e accendere i riflettori su un mondo poco raccontato o raccontato in questa forma consolatoria che diceva. In questo modo portiamo in evidenza buone pratiche che possono essere generative di bene condiviso. Io non sono così brava come i tanti che vedo nel volontariato, quello che so fare è scrivere e questo cerco di fare. Mi piace citare Giacinto Dragonetti, “Delle virtù e dei premi”, quando dice che si deve valorizzare il bene e in questo modo si crea una catena e davvero riscontriamo che si creano sinergie tra le diverse realtà che facciamo conoscere.
Com’è cambiata la comunicazione in questi anni e che spazio c’è per i quotidiani?
Il mondo è cambiato con l’arrivo del web, il Corriere quando sono entrata vendeva un milione di copie, adesso è attestato sulle 200 mila e il resto va sull’online. L’online è un modo di comunicare diverso, basato sulla velocità e sulla ricerca del consenso facile, che è quello che vorrei evitare. Abbiamo visto anche con l’attualità (il caso della ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano che si è uccisa, ndr) quanto possa essere pericoloso. Noi siamo una piccola realtà, ma il fatto di essere entrati nelle pagine del Corriere e non più come inserto staccato, ci conferma che è possibile raccontare le stesse realtà in modo un po’ diverso, facendo crescere anche una coscienza nuova nei lettori. Credo che nella professione di giornalista ci sia una questione etica, a un certo punto dobbiamo chiederci: “Come faccio il mio lavoro?” e anche “Col mio lavoro cosa faccio per il mondo, per la società?”, ed io ho cercato di darmi una risposta con questo progetto.
Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Sicuramente quest’anno dedicheremo energie alla Milano Civil Week con la novità dell’aiuto del Comune. All’interno facciamo laboratori con le scuole assieme a tre associazioni: Associazione Sulleregole di Gherardo Colombo, l’Associazione Ricostituente e un’associazione di ex studenti del Liceo Manzoni di Milano. Inoltre proseguiremo a costruire una rete tra le associazioni del Terzo settore, che devo dire si parlano poco, a volte peccano un po’ di autoreferenzialità. Vorrei raccontare un modo diverso di fare economia, sport, scuola e salute e in generale di essere cittadini. Lavoreremo sulla cittadinanza attiva ripartendo dai valori costituzionali. E continueremo a seguire il consiglio di Zamagni di “contaminare” il Corriere con il bene, portando a casa sempre un po’ di ricchezza da quanti incontriamo.
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