Papa Francesco in Vietnam?
I rapporti tra Santa Sede e Vietnam si erano interrotti mezzo secolo addietro, con la vittoria dei vietcong nella guerra civile fra nord e sud del Paese, rispettivamente comunista e filo occidentale (statunitense). Rapporti che ora stanno camminando a piccoli passi verso una normalizzazione.
Dopo anni di lavoro discreto ma costante, portato avanti con abilità diplomatica ma anche con rispetto e riconoscimento della dignità della cultura e della sensibilità viet, già da tempo la Santa Sede, previo accordo col governo vietnamita, ha potuto cominciare a nominare vescovi titolari delle varie sedi.
Si tratta di una procedura che ha dato risultati lusinghieri e che, se da un lato salva la successione apostolica che tanto sta a cuore alla Chiesa cattolica, dall’altra salvaguarda anche la dignità e sovranità di un Paese e del suo governo. I cristiani, oggi, godono ormai di una notevole libertà sia di culto – le chiese in Vietnam sono sempre piene fin dalle primissime ore del mattino – sia di vita pastorale, ovviamente caratterizzata e limitata da alcune restrizioni e controlli ancora vigenti da parte delle autorità amministrative.
Tuttavia, la vita cristiana nel Paese del sud-est asiatico è molto viva e caratterizzata da un impegno personale deciso e senza tentennamenti da parte dei fedeli. L’attenta politica della Santa Sede e i rapporti cordiali mantenuti negli anni, con una crescente fiducia reciproca, hanno, infine, portato nel luglio dello scorso anno alla visita a Roma del presidente vietnamita Vo Van Thuong. In quell’occasione, il presidente e papa Francesco hanno formalizzato l’accordo, preso nel mese di marzo durante la decima sessione del Gruppo di lavoro congiunto Vietnam-Santa Sede, per la presenza di un rappresentante pontificio ad Hanoi. Il 23 dicembre scorso, il Bollettino della Sala Stampa Vaticana ha pubblicato la notizia che mons. Marek Zalewski, attualmente nunzio apostolico a Singapore, ricoprirà questo nuovo, delicato, ma significativo incarico.
È in questo quadro che è necessario leggere l’appuntamento del 18 gennaio scorso, quando papa Francesco ha ricevuto in Vaticano un’importante delegazione del Partito Comunista vietnamita, guidata da Le Hoai Trung, attuale responsabile delle relazioni esterne del Partito, con un ruolo di rilievo nella politica estera vietnamita.
Successivamente è stato annunciato che in aprile mons. Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, si recherà ad Hanoi, e che entro la fine dell’anno sarà mons. Pietro Parolin, Segretario di Stato, a far visita al governo vietnamita. Passi importanti, quindi, per il futuro – e senz’altro già per il presente – dei rapporti diplomatici fra Santa Sede e governo di Hanoi.
Proprio mons. Gallagher, a margine di questo incontro, ha rilasciato un’articolata intervista che mette in rilievo il significato di questi avvenimenti e dell’ultimo incontro avuto da rappresentanti del Partito Comunista vietnamita con il Santo Padre. Nel corso del dialogo con i giornalisti, il diplomatico vaticano non ha nascosto la possibilità di un viaggio del papa in Vietnam, ma ha anche spiegato la necessaria prudenza nella preparazione. Riferendosi all’invito esteso al papa da parte del presidente Vo Van Thuong, Gallagher ha sottolineato: “Faremo le cose gradualmente.
La visita penso che ci sarà. Ma ci sono un paio di passi da fare prima che questa sia appropriata. Penso che il papa abbia voglia di andare e certamente la comunità cattolica vuole tanto che il papa vada e pensa che sarebbe un messaggio molto bello per tutta la regione”.
In effetti, una visita di papa Francesco in Vietnam avrebbe un significato molto forte sia per i cattolici del Paese asiatico, che molto hanno sofferto nei primi decenni successivi alla fine del conflitto civile, sia anche per altri Paesi con i quali da tempo la Santa Sede sta intessendo una fitta e paziente rete diplomatica per arrivare ad un riconoscimento reciproco pieno e alla possibilità di garantire la libertà religiosa alle rispettive comunità cristiane.