40 mila trovano rifugio in Costa Rica

La fuga è stata provocata dalla mano dura del governo nicaraguense di Daniel Ortega e la violenza delle sue milizie, in un momento in cui anche i costaricani hanno i loro problemi

 

Sono ormai diversi gli organismi internazionali che segnalano un nuovo incremento della povertà e della fame in America Latina. Lo ha fatto l’agenzia economica dell’Onu per la regione, la Cepal, ma anche la Fao, che ha rilevato un incremento dell’insicurezza alimentare e una crescita della fame che sta vanificando i risultati ottenuti in vista degli “Obiettivi del millennio”. Ed è in questo contesto, con l’aggravante della violenza, come abbiamo già segnalato a suo tempo, che si registrano grandi fenomeni migratori dei quali la marcia di una carovana di migranti illegali, in gran parte dell’Honduras, è ormai alla frontiera del Messico con gli Stati Uniti. Il presidente del Costa Rica, Carlos Alvarado, lo ha fatto presente in sue dichiarazioni in contesti internazionali, indicando che la regione si sta facendo carico della fuoriuscita di 2,3 milioni di venezuelani che stanno cercando altrove una vita migliore, dopo le penurie che si patiscono nel loro Paese. Ma per lo stesso Alvarado è apparso in questi mesi un vero e proprio rompicapo: circa 40 mila nicaraguensi si sono rifugiati negli ultimi mesi in Costa Rica fuggendo dalla violenza delle milizie paramilitari del governo di Daniel Ortega.

La situazione in Nicaragua è delicata. Il governo aveva mostrato una certa disponibilità al dialogo con organizzazioni politiche e della società civile, grazie alla mediazione della Chiesa, dopo settimane di proteste nelle strade di numerose città del Paese contro una manovra economica alla quale la gente si è opposta (con il risultato di farla ritirare). Ma la sensazione è che si sia guadagnato tempo, in particolare, a partire dal momento in cui la società civile ha posto come conditio sine qua non la fine del governo di Ortega e nuove elezioni. La repressione delle manifestazioni è continuata sempre più dura, con varie centinaia di morti. Si denunciano esecuzioni senza processi, violazioni dei diritti umani, mentre dopo ogni rivolta repressa con le armi, si impedisce la presenza di organizzazioni umanitarie ed anche i cittadini che si prendono cura dei feriti rischiano la loro incolumità.

L’arrivo di tanti rifugiati avviene senza che la notizia rimbalzi sui grandi media. Ma non è facile per il Costa Rica, dove pure esiste un braccio di ferro tra il presidente e i lavoratori che sono in sciopero da due mesi, anche in questo caso, per una manovra di tagli di spesa pubblica che la gente rifiuta, soprattutto nel pubblico impiego. Proteste che, se non altro, non si svolgono in un clima di violenza, ma che rivelano le difficoltà economiche dell’esecutivo costaricano. La missione che la Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh), che fa parte della Organizzazione degli Stati americani (Osa) ha confermato il mese scorso le stime di 40 mila rifugiati, il peggiore esodo dagli ’80 in qua, quando erano in corso varie guerre civili. «Non hanno casa e stanno vivendo situazioni molto precarie», segnala il relatore della Cidh per i rifugiati, Luis Vargas. Non sono pochi coloro che dormono all’aria aperta nei parchi della capitale, San José, o vivono in casupole di zinco e cartone. Il governo fa il possibile, e forse anche l’impossibile. Ma il nodo della questione è ormai la deriva autoritaria dell’ex guerrigliero sandinista, Ortega, diventato un uomo avvinghiato al potere, a qualsiasi costo.

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