I 40 anni del Rossini opera festival
Bisogna andare a Pesaro per scoprire cosa sia il Rossini Opera Festival. Rassegna di livello internazionale che, per festeggiare i suoi primi quarant’anni, ha creato un programma musicale vasto e interessante con titoli come Semiramide, L’Equivoco stravagante e il Demetrio e Polibio, oltre al Viaggio a Reims e ai concerti del Belcanto.
Ma prima di ascoltare la musica dal vivo, bisogna visitare il neonato Museo Nazionale Rossini, fresco e didattico. Utile per tutti, per chi ama Rossini e per chi non lo conosce. Si passa attraverso sale ordinate, dai soffitti affrescati, con pannelli che raccontano la vita di Gioachino tra documenti, foto, ritratti, oggetti e video musicali.
Poi si va a teatro. E lo spettacolo per eccellenza è la Semiramide, l’ultima opera “italiana” di Gioachino, data a Venezia nel 1823 prima del gran salto a Parigi, la Hollywood musicale dell’epoca.
Semiramide, tratta dalla tragedia di Voltaire con libretto di Gaetano Rossi, è composta da due atti monumentali: 140 minuti di musica! Tutto è ampio, dilatato, immenso. Sembra che qui Rossini abbia volutamente realizzato un poema musicale vastissimo, già prima di Wagner e del tardo Verdi. Semiramide è l’identità più vera di Rossini, della sua estetica, il modello di cosa egli intendesse per bellezza musicale. Cioè una gigantesca messa in scena, un fiume di melodie l’una sbocciante dall’altra, una orchestra ricca di sfumature e ritmi sempre cangianti, un canto di un virtuosismo stellare che è esplosione dell’armonia ideale di tutto con tutto. Il miracolo è che questa musica non stanca, è “naturale”, affascinante, entra subito nel cuore e nella mente. Dalle arie ai concertati – il celebre “Qual mesto gemito” – i momenti di follia che si ritroveranno in Bellini Donizetti Verdi e il dramma della regina che ha ucciso il marito, perde e ritrova il figlio Ninia – l’innamorato Arsace – e poi paga con la morte il delitto. Schemi ancestrali, arcaici, da teatro greco. Rossini gran drammaturgo in una storia ambigua. Dramma, ma in Rossini il finale che purifica chiude ottimisticamente.
Semiramide, al Rof 2019, ha voluto anche dire Michele Mariotti, il direttore pesarese che ha Rossini e il belcanto nel sangue come pochi. Forte di esperienze verdiane, meyerberiane, pucciniane e belliniane, il quarantenne maestro guida l’ottima Orchestra Nazionale Sinfonica della Rai con un gesto cantante, un senso misurato del ritmo – certi “legati”, certi “crescendo” rallentati – un amore per i colori strumentali da scuola. La Sinfonia ne è un esempio stupendo che suscita l’entusiasmo del pubblico. Questo stile direttoriale colto, raffinato e semplice al contempo, accompagna i cantanti in un’opera vocalmente assai impegnativa, anche sul piano attoriale, perché la regia di Graham Vick li obbliga ad una tensione costante. Vick infatti immagina un allestimento visionario, tra archetipi del passato – il gran sacerdote è un personaggio tribale oceanico -, suggestioni del presente, indagini psicanalitiche (Ninia bambino tra il letto e un bambolotto), e surreali (il volto enorme che si divide in due). Talora si distanzia dalla musica, ma è certo molto originale. Il cast si destreggia con impegno.. Se il tenore Antonino Siragusa si conferma perfetto nella vocalità rossiniana, emergente è il mezzosoprano Varduhi Abrahamyan – un Arsace di voce potente e fluida -, mentre corretti sono la Semiramide di Salome Jicia come l’Assur di Nahuel Di Pierro.
Successo strepitoso di pubblico,come pure nell’operina giovanile Demetrio e Polibio (in parte di Rossini) diretta da un esperto come Paolo Arrivabeni alla guida dell’Orchestra Filarmonica Rossini che ha Gioachino nel sangue. Canta Jessica Pratt, voce unica, seguita dalla brava Cecilia Molinari e dal sempre fresco Juan Francisco Gatell. La regia di Davide Livermore – una sorta di “dietro le quinte” non è molto chiara nel voler essere originali ad ogni costo. Ma lo spettacolo funziona. Rossini vince su tutto. Si chiude il 23, c’è dunque tempo per le ultime recite.