A 40 anni dalla guerra delle Malvine
I calcoli della guerra pare proprio che li faccia il diavolo: sarà per questo che sono quasi sempre sbagliati o non portano da nessuna parte.
Ricorre in questi giorni il quarantesimo della guerra delle Malvine (chi scrive ha ragioni per non usare il termine Falkland, il nome usato dagli inglesi). Una guerra che non avrebbe mai dovuto esserci, sorta a partire da calcoli sbagliati.
La giunta militare argentina, capitanata a quel tempo dal generale Galtieri, credette di poter recuperare legittimità rispolverando il nazionalismo attorno a un tema fino a quel momento dimenticato: la sovranità argentina sulle isole Malvine. Purtroppo, non senza una certa superficialità, l’annuncio ricevette il plauso delle piazze, inebriate dal discorso nazionalista e momentaneamente dimentiche della disumanità di quella dittatura. Non sempre la voce del popolo è quella di Dio.
Le Malvine formano un arcipelago freddo e poco ospitale, battuto da venti impetuosi, che si trova quasi ai confini del mondo, oltre 600 km al largo della Patagonia meridionale. Il 2 aprile del 1982, le isole vennero ri-occupate militarmente dagli argentini. La giunta di Buenos Aires si autoconvinse che la diplomazia internazionale sarebbe intervenuta evitando un conflitto col Regno Unito e che, per la grande distanza, Londra non avrebbe reagito se non politicamente. Si credette anche che l’appoggio dalla Casa Bianca alle dittature latinoamericane, in chiave anticomunista, avrebbe sostenuto la rivendicazione argentina. Le cose non potevano che andare diversamente. Il Regno Unito decise di rispondere immediatamente all’aggressione militare inviando una squadra navale. Washington nemmeno ci pensò a sacrificare l’alleanza strategica col Regno Unito a favore degli argentini, ed anzi fornì appoggio logistico e di armi alla task force britannica, inviata dalla premier Margareth Thatcher a recuperare le isole. La Francia, che aveva venduto agli argentini alcuni missili antinave, diede informazioni in merito ai britannici, vari altri Paesi sudamericani con poche e contate eccezioni non appoggiarono per niente Buenos Aires.
Il risultato fu un disastro di grandi proporzioni. A unità britanniche altamente specializzate costituite da professionisti, gli argentini opposero militari di leva, ventenni che fino a poco prima non avevano nemmeno fatto l’esperienza del freddo sottozero, male armati, peggio alimentati ed equipaggiati. Ci sono ancora cause aperte per violazione dei diritti umani da parte dei propri superiori nei confronti di questi soldatini, demotivati di fronte a una guerra assurda. Ben poco ascolto ottenne dai leaders politici Giovanni Paolo II, che nel giro di quindici giorni visitò il Regno Unito (un viaggio già programmato da tempo) e poi l’Argentina, a pochi giorni dalla resa finale.
Al doloroso conteggio dei morti in guerra, 649 dal lato argentino e 255 da quello britannico, bisogna aggiungere lo stillicidio di circa 600/700 reduci della guerra, nei due eserciti, che successivamente si sono suicidati. Dal lato britannico si conteggiano anche tra 2.700 e 6.600 casi psichiatrici. A conferma che pochi escono indenni dall’esperienza della guerra.
Mentre i governi proseguono ancora oggi imperterriti nella discussione sulla sovranità sulle isole, in varie occasioni ex nemici argentini e britannici si sono ritrovati, seminando gesti di amicizia e di fraternità. Nel marzo scorso, una quarantina si sono ritrovati a Buenos Aires, per partecipare ad una messa nella cattedrale anglicana della capitale argentina. «Abbiamo conosciuto la guerra, amiamo la pace», hanno dichiarato in tale occasione, esprimendo la volontà di essere strumento di riconciliazione.
Ma le isole sono argentine o britanniche? Chi scrive non ha dubbi: sono argentine. Il Trattato di Tordesillas del 1494, due anni dopo l’arrivo di Colombo in America, sanciva l’assegnazione dei territori del Nuovo Mondo al regno di Portogallo di Giovanni II e a Fernando ed Isabella, re di Castilla ed Aragona, sotto l’arbitraggio di papa Alessandro VI: l’Atlantico meridionale faceva parte del territorio dei re spagnoli. Almeno 30 carte nautiche, poi, registrano la presenza delle isole prima del 1592. L’Inghilterra cominciò a interessarsi delle Malvine nel XVIII secolo, quando le isole cominciarono ad essere usate dagli inglesi come rifugio durante le incursioni corsare nel sud del Cile – governato dalla corona spagnola come pure il territorio della non ancora nata Argentina –. Infatti, non sempre era possibile superare Capo Horn e le acque tempestose respingevano le navi, costrette a fare scalo nelle Malvine. Madrid ordinò al governatore di Buenos Aires di cacciare gli inglesi dall’arcipelago nel 1770, cosa che venne puntualmente realizzata. Ma la Spagna era una potenza in declino e per quieto vivere, quando gli inglesi ne fecero una questione che poteva sfociare in un nuovo conflitto, ne cedettero l’uso, ma lasciando ben chiaro che ciò non significava nessuna rinuncia ai diritti sovrani sull’arcipelago. Diritti che successivamente vennero trasmessi ai Paesi sorti quando le colonie spagnole sudamericane si trasformarono in stati nazionali. Tanto è vero che nel 1833, quando nuovamente i britannici invasero le isole, cacciarono i nativi ed il governatore argentino, l’ultimo di ben 32 che si erano succeduti a partire dal 1766.
Dunque, le isole sono argentine. Lo stesso Foreign Office ha ammesso in passato di non disporre di argomenti validi per rivendicarne la titolarità. Gli attuali abitanti, i kelpers, sono coloni britannici trasferitisi a suo tempo, che non hanno nessuna voglia di essere governati da Buenos Aires, anche perché il loro pil pro-capite è tra i più alti del mondo (grazie ai diritti di pesca). Il che rende ancora più complessa la questione, visto che Londra ha concesso loro, dopo la guerra, la cittadinanza britannica. Nessuna soluzione del litigio potrà mai ignorare la loro volontà.
Di certo, la questione è entrata in una fase di stallo dopo la scellerata decisione di 40 anni fa di risolverla a colpi di cannone. In questi casi, alla fine chi ha ragione è il più forte e non chi ha migliori argomenti. Come uscirne lo potrà scoprire solo la politica, facendo uso dell’arte del possibile per trovare una soluzione condivisa.
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it