4 novembre e i conti con la storia

La data del 4 novembre, celebrata ancora come la festa di una vittoria bellica, rappresenta l’occasione per guardare al nostro tempo con la consapevolezza delle vittime della guerra. La testimonianza del generale Albino Amodio sulla necessità di chiedere perdono e restituire l’onore ai soldati fucilati al fronte in base ad un’ingiusta disciplina militare
WORLD WAR ONE Italy (AP Photo, File)

La ricorrenza del 4 novembre è passata indenne negli anni a livello istituzionale come data dell’identità nazionale legata alla vittoria militare, nel 1918, delle truppe italiane contro quelle dell’impero austroungarico. Una vittoria esaltata dopo il disastro di Caporetto nel 1917, ma pagata a caro prezzo. Al bilancio finale di 600 mila giovani soldati sacrificati in trincea si deve associare secondo le ultime ricerche storiche, oltre alla marea di mutilati e invalidi, anche la morte di migliaia di civili destinati a diventare le vittimi principali dei conflitti moderni.

La tragedia di un tale evento emerge dai testimoni diretti come lo scrittore e futuro deputato Igino Giordani che nelle sue memorie ricorda così la sua opposizione di giovane chiamato alle armi :  «non capivo come si potesse generare alla vita un giovane, farlo consumare negli studi e nei sacrifici, al fine di maturarlo per una operazione, in cui lui avrebbe dovuto uc­cidere gente a lui estranea, sconosciuta, innocente, ed egli a sua volta avrebbe dovuto farsi uccidere da gente alla quale non aveva fatto alcun male. Vedevo l’assurdità, la stupidità, e sopra tutto il peccato della guerra: peccato reso più acuto dai pretesti con cui la guerra si cercava e dalla futilità con cui si decideva».

Sorprende, quindi, la retorica rituale che ancora accompagna la rievocazione di quella data controversa, con inni su quel 24 maggio che ricorda l’entrata in guerra dell’Italia, in quella piazza romana dove insiste il Vittoriano, diventato anche sede del milite ignoto sotto la protezione della dea Roma, e il palazzo Barbo, già sede dell’ambasciata austriaca e scelta perciò come sede scenografica del regime fascista per i proclami mussoliniani.

Sembra assente una seria revisione della nostra storia. Ne è un segnale eclatante l’affossamento avvenuto in Parlamento di una proposta di legge approvata all’unanimità alla Camera nel maggio del 2015 nel segno della restituzione dell’onore ai soldati ingiustamente sacrificati per ordine degli ufficiali superiori in base non solo a decisioni arbitrarie  ma precise direttive come la circolare 3525 emanata il 28 settembre del 1915 dal “Reparto disciplina, avanzamento e giustizia militare del Comando Supremo” in base alla quale si disponeva che «il superiore ha il sacro diritto e dovere di passare immediatamente per le armi i recalcitranti e i vigliacchi. Per chiunque riuscisse a sfuggire a questa salutare giustizia sommaria, subentrerà inesorabile quella dei tribunali militari». La fucilazione sommaria dei sottoposti rappresentò, assieme ad altri orrori, una prassi diffusa in tutti gli eserciti come descritto ad esempio, nel 1957, dal regista Stanley Kubrick nel film “Orizzonti di gloria”.

Per l’Italia, in particolare, il generale Cadorna utilizzò largamente la facoltà conferita dell’articolo 251 del codice penale per l’esercito, al “Comandante Supremo” di emanare circolari e bandi aventi forza di legge nella zona di guerra, facoltà di cui si fece uso per legittimare la decimazione.

La necessità del riconoscimento di questo abominio perpetrato contro i soldati italiani della prima guerra mondiale arriva dallo stesso mondo militare come testimonia l’impegno del generale dell’aeronautica militare Albino Amodio, tra i maggiori sostenitori della proposta di legge A.C. 2741 , primo firmatario Giampiero Scanu, che recava “disposizioni volte a prevedere il riconoscimento dell’istituto della riabilitazione militare nei confronti del personale militare italiano condannato alla pena capitale, nel corso della prima guerra mondiale, per la violazione di talune disposizioni previste dell’allora codice penale militare”.

Nell’intervento  video del generale Amodio, registrato per Città Nuova, emerge l’attualità della dignità e onore dei cittadini in divisa che sono chiamati ad esercitare la propria attività senza scendere a patti con la propria coscienza. Una priorità richiesta ora in base alla Costituzione repubblicana.

Come sottolinea Amodio, esiste una chiara responsabilità dal modo retorico in cui viene raccontata la guerra. La forza militare ha il compito principale di evitare il punto di non ritorno in cui si inizia un conflitto che non si può prevedere in tutti i suoi effetti (“si sa come comincia ma non quando e come si finisce”): «Nella “grande guerra” i soldati sono stati le vittime sacrificali di un evento che, solo tra le forze armate, ha prodotto, tra il 1914 e il 1918, oltre 10 milioni di morti».

Ma la storia, come sottolinea il generale Amodio, è una disciplina poco studiata dai giovani, con il rischio di ricadere negli stessi errori di un passato che sembra non voler passare.

Un segnale in controtendenza è, tuttavia, arrivato dal consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia che ha approvato all’unanimità nel maggio del 2021 la  proposta di legge 138 che contiene le disposizioni «per la riabilitazione storica attraverso la restituzione dell’onore dei soldati nati o caduti nel territorio dell’attuale Regione Friuli Venezia Giulia appartenenti alle Forze armate italiane condannati alla fucilazione dai tribunali militari di guerra nel corso della Prima Guerra mondiale».

Come ha detto Pier Mauro Zanin, primo firmatario della proposta di legge nonché presidente del consiglio regionale, «l’Italia ed il suo Parlamento hanno scelto di risolvere una tragedia storica senza riconoscere l’ingiustizia e decidere con solennità la restituzione dell’onore ai 750 soldati condannati a morte e fucilati, a cui vanno aggiunte le vittime delle esecuzioni sommarie. La soluzione deve essere quindi a questo punto regionale ed avere comunque il carattere della riconciliazione, almeno per i cittadini del Friuli Venezia Giulia».

Zanin ha ricordato il messaggio inviato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al convegno promosso nel maggio 2021 dal museo storico della guerra a Rovereto dedicato a “L’Italia nella guerra mondiale ed i suoi fucilati: quello che (non) sappiamo”: «Un Paese dalle solide radici come l’Italia non deve avere il timore di guardare anche alle pagine più buie e controverse della propria storia recente».

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons