I 4 infermieri dal papa

I napoletani fratelli Mautone saranno ricevuti in udienza dal papa. Uno di loro si è ammalato di Covid. A piedi gli consegneranno le lettere dei loro pazienti.
Raffaele, Valerio, Stefania e Maria Mautone.

I 4 fratelli Mautone, napoletani e infermieri, hanno combattuto insieme contro il coronavirus. Uniti anche se distanti. Raffaele a Lugano, Valerio e Maria a Como, Stefania a Napoli. Maturano un’idea, un sogno. Raccogliere le lettere, i pensieri, gli stati d’animo dei loro pazienti e dei loro colleghi dentro una semplice scatola bianca di polistirolo e portarla al papa, anche a piedi. Scrivono una lettera commovente e con grande sorpresa il papa li riceverà.

 «Sua Santità, papa Francesco, siamo quattro fratelli, tutti infermieri e tutti schierati in prima linea contro il coronavirus. In questi mesi difficili, abbiamo messo la nostra professionalità, il nostro cuore, e la nostra vita, al servizio delle persone infettate da un virus subdolo».

Sono le prime parole della lettera scritta dai 4 infermieri di Napoli. «Sapevamo cosa ci aspettava e non ci siamo tirati indietro, era una battaglia da vincere, e nelle lunghe giornate, e nelle notti terribili, lei era lì con noi, le sue parole ci davano la forza per andare avanti».

I 4 fratelli Mautone. Da grandi e da piccoli.
I 4 fratelli Mautone. Da grandi e da piccoli.

Alla fine della lettera la richiesta di poter consegnare personalmente le lettere al papa. Passa del tempo e nessuna risposta. Raffaele, il primogenito, a Lugano riceve varie telefonate da un numero sconosciuto e, pensando fosse un call center per offrire promozioni in corso, non risponde. Valerio, il secondogenito, risponde, e con grande sorpresa apprende – da padre Leonardo Sapienza, prefetto della Casa Pontificia – che il papa li avrebbe voluti a Roma per il 20 giugno in una udienza con gli “artigiani della cultura della prossimità e della tenerezza” che sono i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari e anche i tanti sacerdoti che con la loro abnegazione e “creatività” non hanno mai lasciato soli malati e famiglie, anche a costo della vita. L’appuntamento salta, ma è solo rimandato. A fine agosto un nuovo appuntamento telefonico per fissare la data. In settembre li riceverà.

Dio vede e provvede perché all’udienza del 20 giugno non sarebbero neanche potuti andare. L’ultima notte dell’ultimo giorno di servizio in un reparto di rianimazione Covid, l’8 maggio, Valerio è costretto a fare un intervento d’urgenza per un’emorragia in corso. In quell’occasione probabilmente avviene il contagio. Una settimana dopo i primi sintomi. Si ammala di Covid.

«Avevo esperienza della malattia – racconta Valerio – e ho cominciato a pensare alle scene più brutte a cui avevo assistito in reparto. Ho visto pazienti agonizzanti, persone con cui ho parlato e non ci sono più. Non era tanto per la sintomatologia che avvertivo, ma il pathos di sapere quello che sarebbe potuto accadere». Il 29 giugno, dopo 41 giorni di quarantena, anche l’ultimo tampone è negativo. «Ora sto bene. Gli effetti collaterali sono disturbi gastro intestinali e delle emicranie ad intermittenza di cui mai prima avevo sofferto. Spero che, col tempo, passino».

I fratelli Mautone, ognuno nel suo ospedale.
I fratelli Mautone, ognuno nel suo ospedale.

Al papa porteranno due simboli. Due regali. Il sudore, il loro duro lavoro, sarà rappresentato dalle loro divise serigrafate da infermieri e le lacrime dalle lettere che esprimono le sofferenze più recondite di ognuno.

«Negli scafandri – spiega Valerio – abbiamo versato lacrime e sudore, cosi in grande quantità da mescolarsi e da renderle indistinguibili, ma abbiamo lottato affinché l’amore fosse più contagioso di questo terribile virus!».

«Sono super contenta – spiega Stefania – di essere ricevuta dal papa. Per me è come un padre. Nel nostro lavoro abbiamo cercato di fare i passi giusti, eravamo disperati, ma il papa si è caricato il mondo sulle sue spalle. Ha dimostrato che anche nella situazione più buia si può depositare ogni cosa davanti a Gesù crocifisso. Nel cuore resterà impresso per sempre il papa che cammina da solo in piazza San Pietro e ci benedice, è l’immagine della solitudine che hanno provato i pazienti Covid, ha mostrato che anche il papa è da solo, ma se c’è Dio nulla ci manca!».

«Perché è capitato proprio a me? – si chiede Maria -. Questa domanda mi tormentava e un giorno sono andata in chiesa a pregare davanti a Gesù crocifisso. Mi sentivo in colpa verso tanti altri che hanno fatto cose più grandi di me. Mi vedevo piena di difetti. Mi girai e trovai il messale aperto. C’era scritto. “Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”. Il Signore mi ha dato la risposta. Mi chiama anche se imperfetta. Andare dal papa non è un sogno, è un miracolo. Tutte le sofferenze fisiche e d’anima che ho visto e provato, se questa è la ricompensa, hanno un motivo valido e un senso».

Nel monitoraggio della pressione arteriosa del sangue per ottenere dati attendibili occorre identificare lo zero. In gergo infermieristico si dice “fare lo zero”. «Questa pandemia – chiosa Raffaele – è stato un po’ come “fare lo zero” della nostra vita come infermiere e come padre. Vuol dire ripartire con una maturità diversa. La famiglia è stata la cosa più importante. Se risolvi all’interno, sei positivo anche all’esterno. Nella famiglia ho trovato la forza per andare avanti. È stato un anno terribile ma anche fantastico per l’unione sperimentata nella mia famiglia e con i miei fratelli».

La scatola con le lettere da portare al papa.
La scatola con le lettere da portare al papa.

Ora li attende un pellegrinaggio a piedi fino a Roma per consegnare le lettere al papa appena sapranno la data dell’udienza. Dipende dalle ferie che gli accorderanno. Da Siena, sulla via Francigena, fino a Roma se avranno due settimane. Da Viterbo, in caso di una sola settimana.

Nel frattempo sono candidati a Como per l’Abbondino d’oro, la massima onorificenza cittadina e a Napoli hanno ricevuto una targa di riconoscimento.

«Un’ultima cosa volevo aggiungere – conclude Stefania –, la gente ora ha più stima per noi infermieri. Siamo stati come la mamma che ti mette la mano in fronte quando hai la febbre».

 

 

 

 

 

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