Racconti di popolazioni in guerra
Ho vissuto prima in Russia per 24 anni e da 9 anni sono in Ucraina. Se dovessi descrivere quello che vivo, direi: ferite aperte, perché attorno a me c’è tanta sofferenza, spesso ho tante domande senza risposta. L’unica risposta è Gesù in croce, anche lui aveva tante domande, ha sofferto tanto, ha gridato: «Dio mio, Dio mio, perché?». Sto imparando che il dolore è un passaggio e che posso guardarlo in faccia e non fermarmi, posso reagire amando le persone che ho accanto. Quando riesco a vivere così, capisco, lo sperimento, che l’amore è più forte del dolore, mi aiuta a non chiudermi.
Dove vivo ora (nella regione a nord, in Transcarpazia) a differenza di altre parti, ci sono allarmi, ma non seguono i bombardamenti. Però basta uscire per immergermi in un mare di dolore: c’è chi ha parenti al fronte, tante volte mi sento, ci sentiamo impotenti, non sappiamo come reagire. L’unica cosa è ascoltare, portare insieme questa prova, aprire il cuore e portare un po’ di speranza.
Eravamo ad un incontro di più giorni del Movimento dei Focolari. Una persona che vive a Kiev ha condiviso la sua esperienza: lei ucraina, suo marito russo. Quando è iniziata la guerra si è arruolato nell’esercito russo. È morto di infarto per il dolore quando ha visto che cosa succedeva nel campo di battaglia ad opera dei suoi connazionali. L’ho ascoltata e ho provato solo a fare spazio dentro di me… quel dolore è entrato in me. E lei: «Sai che io non avevo più sorriso dall’inizio della guerra. Ora, in questa atmosfera sono riuscita ancora a sorridere».
Insegno italiano e ho tanti studenti online. Un bambino di 12 anni era mio studente quando insegnavo a Mosca. Alla prima lezione, quando è scoppiata la guerra, mi ha chiesto: «Maestra, che cosa è successo?». Non volevo suscitare odio. Ho fatto appello all’esperienza fatta a scuola: «Ti ricordi quando litigavate in classe e non riuscivate a fare la pace? Anche a noi adulti succede…».
Dobbiamo aiutarci a guardare all’altra nazione come ad un insieme di persone… Lì ci sono persone a cui vogliamo bene. Io amo le persone siano russe, siano ucraine. Ringraziano per gli aiuti, per le preghiere… Noi riusciamo ad andare avanti perché c’è questo sostegno forte.
Lia è russa cattolica, il marito Andrej è russo ortodosso. Da qualche anno vivono a Udine.
Sono nata a Mosca dove ho vissuto 30 anni. Mio papà era ucraino, era nato in quella zona che è in guerra. È morto quando ero piccola. Ho parenti da una parte e dall’altra. Mosca era al centro dell’Unione Sovietica. Mio papà è venuto in Russia per lavorare. Mia mamma abitava in Azerbaijan.
Quello che ho scoperto adesso è un abisso… Appena svegli arriva la notizia: Kiev è stata bombardata. Non riuscivamo a crederci. Abbiamo pianto con mio marito. Non abbiamo le risposte per la guerra… ma almeno possiamo dare un po’ di amore. Abbiamo aperto la nostra casa. Siamo pronti ad accogliere: se qualcuno ha bisogno, abbiamo un posto… Prima sono arrivate ragazze ucraine di passaggio. Poi mi ha chiamata una mia amica: «Sai che siamo arrivati a ovest (dell’Ucraina)?… paghiamo 700 dollari per una settimana per un fienile!». È arrivata insieme alla moglie del suo ex marito, che l’aveva portata da lei prima di andare a combattere. Sono diventate sorelle.
Ho scoperto tante cose proprio per la fortuna di poter offrire un posto. Sono diventata solo ascolto. Non riuscivano a fermarsi nel raccontare: dalla mattina sino a notte parlavano senza sosta. Parlavano male di tutti i russi… Dentro di me pensavo: «È una reazione normale…». Dovevo solo accogliere… Alla fine ho sentito che lei, non credente, era arrivata a dire: «Gesù mi ama, mi ama tanto…».
La seconda faccia è la Russia. Non si è parlato di quello che stanno vivendo loro. Anche lì è un disastro con l’arruolamento… Il marito di mia sorella è scappato, si è ammalato. Afferma: «Qui non c’è più nessuno, tutti sono andati via…».
Poi c’è tutto questo odio…
Anche il migliore amico di mio figlio, doveva compiere 18 anni, l’età per essere chiamato alle armi… «Potete accoglierlo? Che venga se riesco a farlo uscire…». Facciamo tutto quanto riusciamo…
È un dolore che non ho mai sperimentato. Non mi posso dividere in due parti. Devo parlare, e rappresento questa parte che non ha voce… Sono davvero tanti e pregano quelli che chiedono perdono senza aver fatto niente…
La cosa che mi ha colpito è l’accoglienza della comunità di Udine… ha raccolto tutto quanto c’è bisogno. C’è chi fa un’ora di viaggio per portarci il pranzo… «Non posso accogliere i profughi, questo è il minimo che posso fare…».
Anche tra i non credenti c’è stata una forte solidarietà… Nel nostro condominio hanno fatto una riunione: «Che cosa possiamo fare?». Una di loro insegna italiano ai profughi… Si è creato un rapporto che non ci aspettavamo. È qualcosa che dà speranza…
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