Giovani, quale futuro?
I giovani, futuro e presente della storia, sono “affare politico” che valica i confini nazionali. Lo spaccato sulla situazione giovanile di un Paese “critico” (sopraffatto da criticità) – quale il Pakistan – riflette, in realtà, il presente e i futuri scenari di molti altri Paesi che, afflitti dalle stesse problematiche e da simili immani sfide, hanno in mano, più di quanto possiamo immaginare, il futuro del resto di un mondo che sta inesorabilmente invecchiando.
Le statistiche Istat sono eloquenti. In Italia la natalità è al minimo storico con 7 nati e 12 decessi ogni mille abitanti. Le informazioni della guida alle statistiche europee Eurostat non sono più incoraggianti: nei prossimi decenni, come emerge dalla grande maggioranza dei modelli in merito alle future tendenze demografiche, la popolazione dell’Ue continuerà a invecchiare a causa del persistere di bassi livelli di fecondità e dell’accresciuta longevità.
A fronte di una speranza di vita che prevede che in media un europeo nato dopo il 2000 viva 80,9 anni, i tassi di natalità, dopo il picco del 1964, sono calati progressivamente. E questa fotografia riguarda più l’andamento del movimento naturale della popolazione che il saldo migratorio. Nel 2015 nell’Unione Europea i giovani rappresentavano il 20% della popolazione totale. In Pakistan, Paese di circa 240 milioni di abitanti, più della metà hanno un’età inferiore ai 21 anni: 120 milioni di futuro, di forza lavoro, di opportunità di crescita economica, culturale, sociale, 120 milioni di vita.
Futuro minato, però, da troppi “ma”. Fotografia emblematica di molte altre nazioni. Ci sono i giovani, ma non conoscono cosa significhi “democrazia”. Sono giovani, ma sono delusi, senza prospettive. Nella continua instabilità politica, una grossa fetta di giovane popolazione insoddisfatta si sente sistematicamente privata dei propri diritti e di un ruolo nel determinare il proprio futuro.
In primo piano, secondo osservatori locali e internazionali, il “ma” fondamentale è la carenza di istruzione e preparazione professionale, sorgente di frustrazione e insofferenza. Per decenni il Pakistan ha fallito nella formazione della sua popolazione scolastica e l’istruzione erogata, a chi ha avuto la fortuna di andare a scuola, non era in grado di preparare i giovani ad affrontare un mondo sempre più competitivo. Sono gli stessi intellettuali pakistani ad analizzare e condannare i curricula scolastici: nozionismo, apprendimento mnemonico, assenza di educazione alla critica e all’argomentazione. Ed è soprattutto nella “mancanza di conoscenza della storia del mondo e persino della storia del proprio paese – dicono – che la povertà del nostro sistema educativo appare lampante”.
L’ex ambasciatore pakistano negli Stati Uniti, Hussein Haqqani, osserva che i giovani, dipendenti dai social media, tendono a pensare che tutto ciò che leggono sui social sia vero e tutto ciò che non hanno visto nei social non sia mai successo. E sostiene che la politica, per troppo tempo elitista, abbia veicolato messaggi ambigui come il poco rispetto per tutti quei valori che, designati a “caratterizzare una repubblica democratica, sono invece considerati sottigliezze legali e costituzionali”. La conseguenza del non conoscere gli abbagli della storia è che le nuove generazioni rivivono gli errori del passato senza capire quali sono stati e come potrebbero essere evitati.
Osservazioni fondate su dati di fatto che riportano il problema educativo al centro del futuro della comunità internazionale. Non è certo un caso che l’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu per costruire un mondo capace di vincere la povertà, di salvare il pianeta, di assicurare la pace, abbia fra i suoi primi obiettivi quello di fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti. Mancano 6 anni. Ce la faremo?
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