Messer Marco Milioni
Girava di bocca in bocca, a quei tempi, la leggenda del Prete Gianni. Nel 1165 una lettera, che oggi quasi tutti concordano nel ritenere un falso, redatta da «Giovanni, Presbitero, grazie all’Onnipotenza di Dio, Re dei Re e Sovrano dei sovrani», rimbalzò sul tavolo dei potenti di allora, l’imperatore di Bisanzio, papa Alessandro III, il ben noto Federico Barbarossa. La lettera spiegava gli immensi e ricchissimi domini che in Oriente sottostavano al Prete Gianni. Il suo regno sovrabbondava di gemme e di oro, ed era abitato non solo da umani, ma anche da giganti e ciclopi, e pure da blemmi, che avevano un unico gigantesco piede, si muovevano strisciando sulla schiena, e si facevano ombra con il loro stesso piede. Viene da ridere a questo racconto, ma all’epoca tanti lo presero per vero. Faceva risuonare nei loro cuori il fascino verso quel mondo misterioso e fantastico che stava a est.
Poi qualcuno ci volle andare per davvero verso Oriente. Erano per lo più mercanti che viaggiavano sulla Via della Seta, ma anche missionari mandati dal papa nel tentativo di convertire i terribili mongoli. Ci andarono alcuni francescani. Dapprima un certo Lorenzo del Portogallo; poi Giovanni di Pian del Carpine, che nel 1245 arrivò a Karakorum, capitale dell’impero mongolo, e raccontò il suo viaggio in una importante Storia dei Mongoli; poi Giovanni di Rubruck, che tra 1253 e il 1255 viaggiò anch’egli in Mongolia e scrisse un resoconto del suo viaggio in Asia che rimane un capolavoro della letteratura geografica medioevale. Ci andarono diversi mercanti. Tra di essi i veneziani Niccolò e Matteo Polo, che nel 1261 partirono per un viaggio che li portò in Cina alla corte di Kubilai Khan, facendo ritorno con un’ambasciata del sovrano che richiedeva al papa missionari per la Mongolia.
Ma nessuno, fra tutti questi viaggiatori, raggiunse la fama di Marco Polo. Che nel 1271, a circa diciassette anni, partì per la Cina con il padre Niccolò e lo zio Matteo, per ritornare a Venezia solo dopo ventiquattro anni, nel 1295. Perché lui più celebre degli altri? Perché scrisse un gran libro, Il Milione, in cui raccontò dei suoi anni in Cina e del suo viaggio.
Ci sono studiosi che negano che Marco Polo sia realmente stato in Cina. Ritengono che il libro abbia alcune gravi incongruenze e che i fatti narrati siano troppi per essere accaduti ad un solo uomo. Pensano che riporti piuttosto racconti di viaggiatori che il giovane Marco udì nel Vicino Oriente, e che lui poi trascrisse condendoli con grande fantasia. Scettici ci son sempre, ed è compito degli storici fare chiarezza, fin dove si può, su cosa realmente accadde. In ogni caso, la storia non si fa solo con i fatti che materialmente accadono, ma anche con le narrazioni che sono condivise da un gran numero di persone. Come avvenne appunto con Il Milione. Il libro, e questo par proprio certo, non fu scritto da Marco Polo, ma da un ghost-writer, diremmo oggi, un tale Rustichello da Pisa, autore di romanzi cavallereschi, che trascrisse sotto dettatura le memorie di Marco Polo, mentre i due si trovavano in prigione nelle gattabuie di San Giorgio a Genova.
Il libro ebbe un successo enorme già ai suoi tempi, quando le copie venivano trascritte a mano da amanuensi (ci volevano tre mesi per fare una copia). E poi, con l’invenzione della stampa, fu un’esplosione di vendite. Questo perché Il Milione è un’opera che, con la sua combinazione di esotismo, avventure, curiosità, informazioni sociali e scientifiche, affascinava e introduceva l’Europa alle meraviglie della Cina, suscitando un senso di stupore e interesse per quelle culture lontane. Anni e anni dopo il libro contribuì alla compilazione del celebre Mappamondo di Fra Mauro del 1450, e ispirò il giovane Cristoforo Colombo a intraprendere i suoi viaggi. Ancora oggi la fama di Marco Polo non sembra tramontare, anche per la centralità assunta dalla Cina sul piano internazionale.
Curioso è come venne dato il titolo al libro di Polo. Lo spiega l’umanista Giovanni Battista Ramusio in una sua opera stampata nel 1574, in cui scrive: «nel continuo raccontare ch’egli faceva più e più volte della grandezza del Gran Can, dicendo l’entrata di quello essere da 10 in 15 milioni d’oro, e così di molte altre ricchezze di quei paesi riferiva tutto a milioni, lo cognominarono “messer Marco Milioni”». Milioni era quindi il suo soprannome.
Marco Polo morì nella sua Venezia nel 1324, 700 anni fa. Fu sepolto nella chiesa di San Lorenzo. Ma della sua tomba si sono perse le tracce. Si moltiplicano le ipotesi. Alcuni studiosi ipotizzano addirittura che sia sepolto a Hangzhou, in Cina. In quella Cina in cui, secondo altri, non è mai stato.
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