Peter Magubane, il fotografo dell’apartheid

Il leggendario fotoreporter e attivista sudafricano Peter Magubane, un gigante nel suo campo, è scomparso il giorno di Capodanno, il 1° gennaio 2024, all’età di 91 anni. Particolarmente apprezzato per aver documentato 40 anni di Sudafrica dell'apartheid, compreso il massacro di Sharpeville del 1960 e il processo a Nelson Mandela (ed altri) del 1964.
Il fotografo sudafricano Peter Magubane posa davatui alla sua foto più nota all'apertura della mostra "Nelson Mandela. Un uomo del popolo" a Gdansk, in Polonia, nel 2016. Foto Ansa EPA/ADAM WARZAWA POLAND OUT

Oggi non c’è dubbio che la rivolta di Soweto del 16 giugno 1976 abbia rappresentato un momento cruciale nella lotta per la democrazia in Sudafrica, dopo che la polizia aveva aperto il fuoco sui giovani manifestanti. Le fotografie di Magubane (più tardi pluripremiate) di quel drammatico momento raccontarono al mondo le uccisioni, suscitando l’indignazione internazionale.

Magubane è stato il fotografo ufficiale di Nelson Mandela dal suo rilascio dal carcere nel 1990 fino all’inizio della sua presidenza nel 1994, in seguito alle prime elezioni democratiche del Sudafrica. Il governo sudafricano ha dichiarato che Magubane «ha documentato i momenti più storici della lotta di liberazione contro l’apartheid».

Negli anni ’60, nel pieno dell’attivismo anti-apartheid, Magubane (trentenne) ha seguito l’arresto di Nelson Mandela e la messa al bando dell’Anc (African National Congress). Un decennio dopo ha ottenuto riconoscimenti internazionali per la sua documentazione della rivolta studentesca di Soweto.

In una dichiarazione su X (ex Twitter), il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha espresso la sua tristezza per la morte di Magubane proprio mentre il Sudafrica inizia l’anno che segnerà 30 anni di libertà.

Non è stata resa nota la causa del decesso, ma l’associazione dei giornalisti ha dichiarato che Peter Magubane «è morto serenamente circondato dalla sua famiglia». Avrebbe compiuto 92 anni il 18 gennaio prossimo.

Magistrale narratore di storie

Nato nel 1932 a Vrededorp, un sobborgo di Johannesburg, Magubane è cresciuto a Sophiatown, un tempo centro di famosi artisti neri, poi distrutto dall’apartheid.

Voleva diventare fotografo fin dai tempi della scuola, quando gli fu regalata una macchina fotografica Kodak Brownie. Si è fatto strada in questo ruolo dopo aver iniziato come autista e fattorino nel 1954 presso la rivista di cultura urbana nera Drum, che ha prodotto una leggendaria generazione di scrittori e fotografi. Ha lavorato nel laboratorio fotografico della rivista per poi passare alla macchina fotografica, dove si è rapidamente concentrato sulla documentazione della dura realtà dell’apartheid e dei momenti chiave della lotta per l’uguaglianza, guadagnando la ribalta come uno dei pochi fotografi neri che hanno coperto l’epoca repressiva.

Se da un lato ha fotografato alcune delle violenze più brutali, dall’altro ha anche creato immagini crude della vita quotidiana sotto l’apartheid che hanno avuto enorme risonanza. Una delle sue immagini simbolo, scattata nel 1956 in un ricco sobborgo di Johannesburg, immortala una ragazza bianca seduta su una panchina con la scritta “Solo europei”, mentre la sua cameriera nera, seduta dietro di lei dall’altra parte della panchina, la stava pettinando.

«Era molto appassionato del suo lavoro, tutto il resto si fermava quando si trattava del suo lavoro», ha dichiarato la figlia Fikile alla televisione Sabc.

Un ingegnoso fotografo segreto

Magubane ha sfidato le severe leggi sulla censura per documentare le ingiustizie dell’apartheid e da giugno 1969 è stato tenuto in isolamento per 586 giorni dopo aver fotografato i manifestanti fuori dalla prigione dove Winnie Madikizela-Mandela era detenuta con altri 21 attivisti anti-apartheid. È sopravvissuto a 17 colpi di pistola durante il funerale di uno studente ed è stato più volte molestato e aggredito dalla polizia.

La resistenza di Magubane non era evidente solo nelle sue azioni, ma anche nei suoi metodi creativi per catturare la verità. Gli fu notificato un ordine di interdizione di cinque anni, che lo costrinse a dimettersi dal Rand Daily Mail, un giornale critico nei confronti dell’apartheid.

Magubane trovò però il modo di scattare fotografie di nascosto, con la macchina fotografica nascosta in una Bibbia scavata o sotto la giacca, talvolta all’interno di un cartone di latte o di mezza pagnotta che fingeva di bere o mangiare, mentre scattava servendosi di un cavo da scatto nascosto in tasca.

«Ero pronto a morire per la causa del miglioramento del mio Paese», ha dichiarato all’emittente nazionale Sabc nel 2016. «Per poter documentare tutto ciò che potevo sul mio Paese, [per] inviarlo all’estero, per farlo vedere in tutto il mondo, perché tenerlo nel mio Paese non sarebbe servito. Ma se viene visto in tutto il mondo – si diceva –, allora la gente può iniziare a usare il potere per cambiare quello che c’è».

Peter Magubane ha lavorato per diverse organizzazioni mediatiche ed è diventato un’icona per i giornalisti e i fotografi che lavorano sotto regimi repressivi. «Ha fatto grandi sacrifici per la libertà di cui godiamo oggi -, ha detto a Reuters la nipote Ulungile Magubane -. Per fortuna ha vissuto per vedere il Paese cambiare in meglio».

È stato riconosciuto a livello internazionale

Magubane ha rivelato il suo talento fotografico a Londra nei primi anni Sessanta. I suoi contributi sono stati accolti da pubblicazioni importanti come National Geographic, Life, New York Times, Washington Post, Paris Match e Sports Illustrated.

Anche le Nazioni Unite hanno beneficiato del suo obiettivo, per le sue collaborazioni con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) e con l’Unicef.

Tra le numerose onorificenze ricevute, la più importante è stata l’Ordine sudafricano per servizio meritorio di II classe d’argento, conferitogli dal presidente Nelson Mandela.

A livello internazionale ha ricevuto l’American National Professional Photographers Association Humanistic Award per essere intervenuto nella prevenzione della violenza. È stato il primo sudafricano nero a vincere il Press Photo of the Year nel 1958.

Il Forum nazionale degli editori sudafricani (Sanef) ha dichiarato che «dopo l’alba della democrazia in Sudafrica, Magubane ha riorientato il suo obiettivo per catturare le complessità dei conflitti tribali e territoriali, nonché le tradizioni culturali del Sudafrica post-democratico».

Dal 1994 si è concentrato sulla realizzazione di mostre e sulla pubblicazione di opere tratte dai suoi archivi. In un’intervista rilasciata al periodico Sunday Times nel 2021, Peter Magubane ha confessato che i suoi “soggetti preferiti per le foto” erano diventati i tramonti.

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