Attese e riti di Capodanno
Mi sono imbattuto quasi per caso in una notizia interessante. Dice che «la ricerca di voli per la fine del 2023 è aumentata del 20% rispetto allo scorso anno». Aggiunge poi che «si conferma la tendenza degli europei a trascorrere il Natale con la famiglia e ad approfittare delle vacanze di fine anno per viaggiare e scoprire nuove destinazioni».
I dati, se pur statistici e per ciò non del tutto precisi, sono ricavati dal motore di ricerca di voli e hotel jetcost.es, e da lì l’autore tira fuori la conclusione che «buona parte degli europei che vogliono trascorrere questi giorni fuori casa» ha scelto la Spagna «per iniziare il 2024, davanti a Italia, Portogallo, Francia e Regno Unito». La conclusione della notizia è ancora più impersonale: «le ricerche di voli tra il 26 dicembre 2023 e il 4 gennaio 2024, indicano che la grande maggioranza degli europei [che vogliono viaggiare questi giorni] ha scelto Madrid».
Devo dire che sono piuttosto scettico riguardo a quanta verità si nasconda dietro ai dati statistici. Comunque, le affermazioni della notizia mi hanno portato a interrogarmi sul perché di tanto viaggiare all’estero, su perché facciamo regali a Natale e Capodanno o perché celebrare la conclusione di un anno e l’inizio di un altro. E cosa significa celebrare, ovvero «rendere solenne, mediante una cerimonia, un avvenimento», come spiega il dizionario. L’ho chiesto alla psicologia, e di nuovo mi sono imbattuto in qualcosa che non mi aspettavo.
Il dottore Fernando Azor, psicologo clinico, parla di una «sindrome di Capodanno»: quando «l’anno che sta finendo esige una cerimonia che gli dia più valore». Tali cerimonie, certo, variano da un Paese all’altro, e alcune sono proprio pittoresche, come quella di mangiare dodici cicchi d’uva al ritmo dei dodici rintocchi dell’orologgio che segnano la fine dell’anno e l’inizio del nuovo.
Oppure i fuochi d’artificio che non mancano da nessuna parte. Azor sostiene inoltre che «al di là degli eccessi che ognuno vorrà commettere e dei relativi effetti collaterali, il Capodanno ha una particolarità: le persone creano grandi aspettative su quanto divertirsi»; e qui sta il rischio, perchè tale aspettativa «a volte provoca disagio quando si percepisce che non è così divertente come ci si aspettava (…) e per di più non bisogna essere stanchi». Tutto ciò configura quella che lui definisce la sindrome di Capodanno, che certamente può essere estesa a tutte le celebrazioni natalizie, e anche ad altre.
Altri professionisti concordano sul fatto che «non tutto è gioia», perché le emozioni sono spesso contraddittorie, e lanciano un serio avvertimento per curare la salute mentale, giacché tutto ciò che ruota attorno alla fine dell’anno ci dice che dobbiamo unirci allo spirito di festa, ma non sempre lo si vive così. Anzi, «la fine dell’anno è il momento in cui si registra il tasso più elevato di depressione, ansia e crolli psichici».
Ecco, quest’anno, da buon spagnolo, ho mangiato i dodici chicchi d’uva al ritmo dei rintocchi dell’orologio, ma soprattutto ho cercato di non emozionarmi troppo per l’anno che inizia.
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