Cile: un chiaro messaggio alla politica

Dopo la bocciatura della seconda proposta di una nuova Costituzione, politici e cittadini sono tutti d’accordo: capitolo chiuso. Ora governo e opposizione sono al lavoro per rispondere alle necessità della gente e recuperare credibilità
Per la seconda volta in meno di due anni, i cileni votano in un referendum sull'opportunità di sostituire l'attuale costituzione che risale alla dittatura militare del generale Pinochet. (AP Photo/Esteban Felix)

«La politica è in debito con il popolo del Cile, e questo debito si paga trovando le soluzioni di cui i cileni e le cilene hanno bisogno». Così il presidente della Repubblica Gabriel Boric leggeva, dopo l’esito del referendum costituzionale del 17 dicembre, la lezione da imparare dopo la seconda bocciatura di una nuova Costituzione. L’impegno, diceva in sostanza, è occuparsi delle priorità della gente: lotta alla delinquenza, riforma delle pensioni e patto fiscale. E per farlo servono dialogo politico e tanto lavoro.

In questi giorni si è riaperto, con grande soddisfazione del presidente, il dialogo sulla riforma delle pensioni, nave ammiraglia del governo e principale preoccupazione dei cittadini. C’è da lavorarci, data l’esigenza del centrodestra di gestire l’intero 6% delle ritenute, anziché dividerlo in tre parti, come prevede il progetto del fondo pensionistico individuale. Ma non sembra ci sia altra strada.

I due tentativi di riforma costituzionale hanno esacerbato la polarizzazione e in Parlamento siedono i rappresentanti di ben 22 partiti, ma quello che conta adesso è soprattutto che la stanchezza e la disaffezione popolare verso la politica fanno sì che chi aspira a governare il Paese deve accreditarsi con la ricerca del dialogo e di una propositività costruttiva, basata sulla conoscenza dei problemi reali della gente e un’azione politica pragmatica, che non si concentri soltanto sulla ricerca di una poltrona né si perda nei litigi tra fazioni.

È innegabile che «il processo costituzionale, destinato a portare speranza, ha generato frustrazione e persino rifiuto in una parte rilevante della cittadinanza».

E su questo, per una volta, tutti i settori politici sono pienamente d’accordo. Seppellito così un processo cominciato nel 2019 per iniziativa popolare, rimane in vigore la Costituzione redatta nel 1980 dal regime di Augusto Pinochet, anche se poi più volte riformata dopo il ritorno alla democrazia.

Eppure l’esigenza di un nuovo patto sociale emersa 4 anni fa non era un capriccio. Le proteste, innescate da un aumento di prezzo del biglietto della metropolitana, in realtà gridavano basta ad una classe politica lontanissima dalle priorità della gente, e a un modello di Paese economicamente sviluppato ma classista e privatista, che aveva creato cileni di serie A e cileni di serie B.

Guidate per lo più da giovani universitari, le manifestazioni di massa avevano indotto la politica a proporre una riforma profonda e radicale e l’80% dell’elettorato aveva chiesto una nuova Costituzione.

Allora perché ha poi bocciato ben due proposte? Il meccanismo scelto in prima istanza, quello di un’Assemblea Costituente ad elezione popolare, paritaria (77 uomini e 77 donne), con la partecipazione dei popoli indigeni, aveva destato un grande interesse internazionale. Gli eletti erano in gran parte volti nuovi, leader sociali indipendenti dai partiti. Ma la loro proposta, considerata tra le più progressiste al mondo, è stata rifiutata dal 62% degli elettori. Ci volevano consensi più ampi. Purtroppo anche il secondo tentativo, questa volta promosso da una commissione di forte tendenza conservatrice, sembrava più un programma elettorale che un quadro normativo per tutti, anche secondo esponenti di quello stesso settore politico. Due progetti polemici e tutt’altro che inclusivi, insomma.

Il secondo è stato considerato ancor più neoliberale della Costituzione varata dal regime. Prevedeva un sistema sanitario e pensionistico misto, pubblico-privato; difendeva la vita del nascituro e l’obiezione di coscienza nell’interruzione volontaria della gravidanza, ma con una formulazione che avrebbe implicato, secondo alcuni, limiti al “diritto di aborto”. Introduceva la protezione dell’ambiente, l’equità uomo-donna e il diritto all’acqua, alla casa e al lavoro, ma in un modo che secondo i detrattori avrebbe favorito gli interessi delle categorie più abbienti.

Una grande opportunità persa, insomma, e senza vincitori. Certamente, però, una pesante sconfitta della classe politica. Per l’analista politico Cristóbal Bellolio, al di là del nulla di fatto, i cileni hanno imparato che una Costituzione “non si può fare l’uno contro l’altro, bensì con l’altro”. Purtroppo, il disincanto è aggravato dal fatto che a fallire sono stati proprio rappresentanti estranei alla “casta politica tradizionale”. Anche la maggioranza del Consiglio Costituente che ha redatto il secondo testo, infatti, era composta da “outsiders”.

Il politologo Eugenio Tironi sottolinea comunque che la crisi sociale del 2019, che poteva sfuggire di mano, si è in realtà risolta democraticamente: «Abbiamo trovato il modo di uscirne senza colpi di stato e contenendo l’onda di violenza».

Non mancano tuttavia esperti che segnalano un indebolimento istituzionale. Un mese prima del primo plebiscito, il Parlamento aveva approvato l’abbassamento del quorum necessario per emendare la Carta Costituzionale, portando il quorum dai due terzi dei voti ai quattro settimi.

È così diventato più facile modificare l’attuale Costituzione: approvata nel 1980 con un referendum realizzato durante la dittatura, con scarse garanzie di trasparenza e zero controllo pubblico, ha in realtà già subito circa 80 modifiche. Sta quindi ora al Parlamento proporre iniziative in questo senso. Ma per adesso, la migliore risposta che la politica può dare alla gente è affrontare i problemi più urgenti con serietà e proposte concrete, condivise e negoziate. E se i cileni non ci contano troppo e restano scettici, sarà possibile smentirli con i fatti.

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