Fede, fiducia, patto

Cos’è rimasto della fede nel mondo d'oggi, guidato da consumismo e mode, dai piaceri facili e dalla filosofia del credo-se-vedo?

La parola fede, nel mondo attuale, sembra aver perso il suo significato originario e primo, e mescolarsi alla fides che intende, invece, fiducia. Un concetto senz’altro affine, ma certamente non uguale, dal momento che la fede si lega a ciò che si avverte con l’animo, ad una realtà che certo prevede l’intelletto, ma che è “invisibile” (come diceva sant’Agostino: intelligo ut credam[1], «comprendo per credere»).

La fiducia, invece, coinvolge la parte emotiva, ma nasce da una concretezza, perché significa credere in qualcuno o qualcosa di cui ho verificato le capacità, le potenzialità. Noi diciamo: “ho fiducia nelle forze dell’ordine” nel senso che “credo” nella legge degli uomini e nell’agire umano. Similmente diciamo: “ho fede nella mia squadra di calcio” cioè credo nelle capacità della squadra e mi identifico con le sue glorie e le sue vittorie. Parliamo di fatti ed esperienze che si vedono, che si toccano. Ma che sono lontani dall’idea originaria di Fides, il cui senso si può cogliere solo nelle parole dell’apostolo Paolo: la fede «è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono» (Ebrei 11:1).

Per capirne di più, forse ci può essere d’aiuto la storia della parola e la sua etimologia.

La parola fides, ha una storia antica; deriva dal latino fid-es, ed è compagna di pistis, fiducia in greco[2], credito dato a qualcuno. È la promessa, la garanzia che ci fa chiamare ‘fede’ l’anello nuziale, e scrivere ‘in fede’ prima di firmare una dichiarazione[3].

A Roma, fin dal III sec a.C. la fides era un’ideale talmente alto da essere rappresentata da una vera e propria divinità, che faceva parte del Panteon del Mos Maiorum[4], e aveva il compito di regolare i rapporti interni del cittadino (amicizia, famiglia ecc.) e le leggi dello stato. È evidente fin da subito, che la parola “fiducia” si basa sull’azione umana sperimentata e collaudata, su cui si impone un “atto di fede”. È qui che i due concetti cominciano ad intrecciarsi fra di loro.

Ciò è ben visibile nel Medioevo, periodo che avvicinò a fede e fiducia anche il termine foedus (patto)[5] da cui deriva “feudatario”, in riferimento al legame fra il nuovo padrone e il proprietario terriero, tra i quali nasceva un patto, un’alleanza intoccabile sigillata da un giuramento.

Ma il patto che stabilisce rapporti in ambito politico-sociale emerge, se guardiamo bene, anche nei rapporti personali. Nella letteratura è attestato non solo in testi giuridici e in leggi scritte, ma anche in poesia e in componimenti dove sono i sentimenti a comandare.

L’esempio più evidente, lo troviamo nella poesia latina con il giovane Catullo, poeta del 1° secolo a.C., portavoce dei neoteroi.[6] Tra i temi trattati dal poeta nel suo Liber di poesie il principale riguarda l’amore per Lesbia, la donna amata, di cui il poeta soffre i tradimenti e la continua rottura delle promesse. Rotture e tradimenti che, invece di spingerlo a staccarsi da lei, lo rendono sempre più succube di una passione che anzi, sembra alimentarsi in ardore.

È qui che emerge la testimonianza dell’importanza del foedus e della fides insieme, nei rapporti privati. Dice Catullo: «Nulla fides ullo fuit umquam foedere tanta/quanta in amore tuo ex parte reperta mea est» (Nessuna fedeltà a un patto fu mai così grande/ come quella insita da parte mia nell’amore per te – Carmen 87), e definisce il vincolo che dovrebbe esserci tra due persone che si amano «aeternum… sanctae foedus amicitiae» (patto eterno di inviolabile amicizia – Carmen 109, 6).

Un vincolo morale che impegna i due amanti alla fedeltà per tutta la vita, il cui disimpegno acuisce la tormentata sofferenza che l’amore provoca. Catullo, infine, sarà vinto dalla forza disperata dell’amore, ma la sua testimonianza non si esaurirà, entrando di forza nelle corde di molti poeti delle epoche successive.

E, infatti, ritroviamo la stessa ansia insolubile sui tormenti che l’amore si porta con sé, (se vogliamo unire la fede, e il patto della fedeltà), nelle liriche dei troubadours[7] (i trovatori) l’amore è bruciante e, dunque, negativo. I due amanti fanno un patto d’amore: il foedus. Da cosa nasce il dolore? Nasce dalla disattesa del patto: se l’innamorato non ha una risposta dalla donna, se non la vede, se ella non lo saluta, se si comporta in modo leggero con altri… Sono gli eterni tormenti senza tempo.

Nei lirici della Provenza, si introduce, per la prima volta il segno della persona amata, cioè qualunque segnale della sua presenza, qualunque oggetto che sostituisca l’essere presente nell’oggetto del desiderio «dall’essere che più mi giova e piace/messaggero non vedo, né sigillo/perciò non ho riposo né allegrezza» dice Guglielmo IX d’Aquitania[8], il precursore di tali poeti.

Dunque, la novità è che basta un segno, e non è necessaria la presenza fisica.

È questo il grande passo avanti, perché se, come dicevamo, la fede è credere a qualcosa che non si può vedere, la meta adesso sembra esser più vicina.

Infatti, poco dopo, nel 1200, sarà il nostro poeta, Dante Alighieri a fare il passo finale: l’oggetto amato non è più al mondo (la sua Beatrice, si sa, è morta). Ma attraverso il percorso del dolore e della disperazione, Dante arriva alla conclusione: Beatrice è in cielo, è luce, è angelo. Se si ama non c’è bisogno di vedere e toccare.

Improvvisamente, tutto sembra risolversi: gli anelli della catena fides, fiducia, foedus (patto), si liberano dai vincoli. E ognuno va dove deve andare: la fede torna alle sue origini, e scioglie il nodo del dubbio. Il posto della fiducia e dell’amore è lì, dove non potrà più morire, perché è diventato luce, come Dio ci indica da sempre.

[1] Sermo 43,9

[2] peith- radice greca del verbo chiedere

[3] https://unaparolaalgiorno.it

[4] le componenti del Mos Maiorum, alla base della Repubblica Romana erano: Fides, Virtus, Honos, Concordia, Libertas e Pietas

[5] foedus latino, e foedum, in latino medievale

[6] i neoteroi, sono detti poeti “nuovi”, perché portavano una poesia del tutto innovativa nel contenuto (per la prima volta si parlava d’amore e di sentimenti) e nella forma (le poesie erano brevi e stringate, spesso di appena due versi, lontane dai poemi epici o alla laude, conosciute a Roma fino a quel momento).

[7] I trovatori erano i poeti che cantavano i temi dell’Amore verso una donna. La parola sembra provenire da  trobar clus (poetare chiuso) in riferimento ad uno stile volutamente difficile, ermetico, ricco di metafore che ne rendevano difficile la comprensione. La necessità di simboli che rendessero difficile l’identificazione della donna amata,  era dettata dal carattere di “segretezza” insista nel tipo di rapporto amoroso.

[8] Guglielmo IX duca d’Aquitania (1071-1126) fu il primo poeta provenzale, oltre che uno dei più grandi feudatari dei suoi tempi (si dice che avesse più terre del re di Francia)

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