Natale: uno squarcio nella storia
Nasce all’ombra della guerra, tra sentimenti di odio e umane miserie di arroganza, tra le macerie di una storia che non ha rinunciato a mietere, con tonnellate di bombe, vite di poveri inermi, colpevoli di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Cristo nasce oggi sul fronte russo-ucraino e nel cuore del conflitto israelo-palestinese, dove i torti e le ragioni non sono mai da una sola parte, ma sostanziano velleità di contesa e di potere.
Nel perenne frastuono delle armi, nel vacuo sottofondo dei social e nelle illusorie luminarie, segni transitori di improbabile bellezza, il pianto disperato dei bambini e i volti impietriti degli adulti rivendicano gesti di pietà. Nei teatri di morte non c’è distinzione tra il soldato e il civile, tra il braccio armato e quello inerme, tra la propria parte e quella altrui, tanto tragica e irrazionale è diventata la contesa. È un Natale di paura e di terrore, di angoscia e di violenza, ma anche carico di simboli di umanità e di speranza.
E speranza è «forse la parola che più piange sotto le nostre elusioni e le nostre abdicazioni», scriveva, nel marzo 1978, Giovanni Testori sul Corriere della sera in un altro difficile momento della storia. «Essa ci aspetta come un povero filo d’erba, come un povero, breve filo di bava sulle labbra d’un bambino o su quelle di un morente». La difficoltà, tuttavia, è nel portarla alla luce, nell’accettarla e nell’assumerla. «Per essere assunta la speranza domanda come primo gesto che venga distrutta l’indifferenza; che venga distrutta la superbia delle tenebre accettate e che, insieme, venga distrutto l’odio non respinto ma attizzato e covato come un bene», aggiunge Testori del quale quest’anno si celebra il centenario della nascita.
Affinché non sia utopia la speranza chiede a tutti la fatica di ricercare il bene e di costruire come missione fondamentale e perenne di un servizio all’umanità. «Bisogna non abdicare – dice ancora Testori –, ma porre la nostra vita in relazione a quella suprema alterità che abbiamo sconciato, sputato e bestemmiato e che, malgrado tutto, proprio attraverso il dolore, osa ancora chiamarci con le parole, le lagrime e i belati della giustizia, della speranza e dell’amore traditi e dimenticati».
Nella greppia di Betlemme o nella realtà di Greccio, dove nel 1235 san Francesco volle ricordare l’evento della nascita, o nelle fantasiose realizzazioni domestiche la natività è la rappresentazione di un patto che si rinnova tra l’umanità di Dio e quella dell’uomo.
È l’incontro tra la trascendenza e l’immanenza che dà significato nuovo alla storia. «Il tempo – scrive Thomas Stearns Eliot nei Cori da La Rocca – fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c’è tempo, e quel momento di tempo diede il significato».
Il Natale, con il suo valore tenacemente umano, non è un’edulcorata festa di cristiani svuotata, per giunta, nei suoi contenuti dalla natura consumistica del nostro modo di essere e di vivere, è semmai il riconoscimento della profonda dignità di ogni uomo, il ricongiungimento del nostro limite con l’infinità di Dio.
In quest’ottica il presepe non è una rappresentazione o il simbolo di una identità, ma, come scrive il teologo e vescovo Bruno Forte su Luoghi dell’Infinito, «testimonia che Cristo non nasce altrove o in un tempo lontano, ma qui e ora».
Non a caso nella notte di Betlemme in cui il cielo e la terra si incontrano, il lieto annuncio coinvolge i poveri, i pastori che al tempo della nascita di Cristo erano considerati impuri per la loro vicinanza alle bestie e, dunque, indegni di un vivere civile, e i Magi, i sapienti che nei loro scrigni racchiudono la saggezza del mondo. Tra la povertà e la sapienza c’è tutta l’umanità, pure quella indifferente e schiva rispetto alla grandezza dell’evento, ma non per questo abbandonata a se stessa.
«Nella capanna dove Cristo è nato – dice Giovanni Testori – la storia dell’uomo ha congiunto il prima (che fu di attesa) al poi (che è stato e sarà di compimento)». La grande speranza del Natale, di questo Natale è proprio la realizzazione di quel compimento che richiede ogni giorno più operai e operatori di pace. Per questo il Natale continua a essere uno squarcio nella storia.
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