Il dolore per la morte di Giulia produca amore, perdono e pace
«Cara Giulia, io non so pregare, ma so sperare: voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e a tutti voi qui presenti che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace. Addio Giulia, amore mio». Le parole pronunciate da Gino Cecchettin ai funerali di sua figlia Giulia, uccisa a 22 anni dall’ex fidanzato alla vigilia della laurea, non smettono di commuoverci, di smuovere le nostre coscienze, di indicarci la strada.
Perché se l’uccisione di Giulia non è “solo” l’ennesimo femminicidio, ma un punto di svolta culturale e sociale per il nostro Paese è soprattutto grazie a lui e a sua figlia Elena, che non hanno taciuto, ma hanno “fatto rumore”, pronunciando parole di verità, di dolore, ma anche di grande speranza, facendo conoscere questa ragazza, amata da quanti la conoscevano, a tutta l’Italia, che ieri, nel giorno dei funerali, ha pianto e pregato insieme a loro. Ma la famiglia Cecchettin ha anche denunciato con chiarezza le responsabilità della morte della ragazza, uccisa da Filippo Turetta, un “bravo ragazzo”, come aveva denunciato Elena, figlio di una cultura maschilista e patriarcale che sminuisce le donne.
«Abbiamo vissuto – ha detto Gino Cecchettin – un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Mia figlia Giulia era una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma».
Il femminicidio, ha aggiunto Gino Cecchettin, «è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia?». Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione…
Papà Gino si è rivolto innanzi tutto agli uomini: «noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne, non girando la testa di fronte ai segnali di violenza, anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto».
Ai genitori il padre di Giulia chiede, con il cuore, di insegnare ai propri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e di aiutarli ad accettare le sconfitte, a comunicare autenticamente con gli altri, a guardarli negli occhi, ad ascoltare l’esperienza di chi è più anziano. «Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro… La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto».
La scuola, ha detto Gino Cecchettin: «ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli. Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l’importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza di genere inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti».
Non sono mancati richiami di responsabilizzazione per i media, che quando alimentano atmosfere morbose contribuiscono a perpetuare comportamenti violenti arrivando, paradossalmente, a difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome a trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo. «Perché – ha sottolineato – da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata, si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti».
Le parole di papà Gino ci richiamano tutti – tutti! – alle nostre responsabilità, ogni volta che commettiamo, giustifichiamo, ignoriamo le violenze sulle donne: abusi, molestie, discriminazioni, femminicidi.
«Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. In questo momento di dolore e tristezza dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento».
Giulia è stata uccisa crudelmente, ma la sua morte – chiede papà Gino – deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. «Che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita». La vita, ha aggiunto citando il poeta Gibran, “non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…”.
«Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche ma non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia».
Ai genitori di Filippo Turetta, assassino di sua figlia, Gino Cecchettin, intervistato dalla Rai, dà «un grande abbraccio, perché forse io tornerò a danzare sotto la pioggia, quindi, farò un sorriso. Per loro sarà molto più difficile. Hanno tutta la mia comprensione e il mio sostegno». Per quanto riguarda Filippo, «spero che si renda conto di quello che ha fatto. Il perdono sarà difficile».
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