Nuovo cinema italiano

In sala due opere di giovani, La Chimera di Alice Rorhwacher e Palazzina Laf, prima regia di Michele Riondino. Uno sguardo sull’Italia.
La regista Alice Rohrwacher sul red carpet del film La Chimera al 18° Film Fest di Roma il 25 ottobre 2023. (AP Photo/Alessandra Tarantino)

Nella Tuscia viterbese i tombaroli sono di casa e fanno traffici loschi, anche per i musei internazionali. Una verità, tant’è che alcuni grossi musei come il Paul Getty di Los Angeles hanno dovuto restituire all’Italia opere prese illegalmente. È così che l’inglese Arthur (Josh O’Connor), che ha doti di rabdomante, appena uscito dal carcere ritrova i vecchi amici sbandati e tombaroli. A fatica lo arruolano, scovano altre tombe inseguiti dalla polizia. Ma lui in verità è un irrequieto che cerca la pace e non la trova, sogna la donna amata, viva o morta che sia. Tra realtà e sogni, fra visione onirica e crudo realismo si snoda un film intelligente, bellissimo a cogliere le ore della natura, i volti dei personaggi, l’aria caotica di questa compagnia pasoliniana di vagabondi, estraniati dal mondo, e in particolare la sospensione tra magia e quotidiano che lascia un senso di mistero.

Arthur dall’occhio errante troverà la donna amata, qui o nella morte in una tomba o dopo la morte? La regista al solito crea una dimensione irreale e magica in cui si muovono personaggi al limite, come la madre della donna amata, una Isabella Rossellini fatata e proveniente da chissà quali mondi. Arthur è attratto da lei che vede in lui una sorta di antico cavaliere, gentile e timido, a contatto con i morti del passato – le meravigliose tombe etrusche – e forse anche del presente. Arthur in definitiva cerca l’amore, ma per ottenerlo bisogna in qualche modo morire? Poetico, surreale ma anche aperto sul traffico illegale d’arte, molto vivo ancora oggi.

 

Palazzina LAF

L’attore Michele Riondino, 44 anni, è di Taranto e , come dice lui, «qui nasciamo tutti con la tuta da operaio addosso». Così per il debutto alla regia ha presentato un film chiaro e duro di cui è protagonista. Nel 2006 l’ex presidente dell’Ilva Emilio Riva e due suoi collaboratori furono condannati: morivano precocemente operai per intossicazioni ed incidenti, altri, professionisti non graditi alla dirigenza, venivano confinati a non far nulla in una palazzina fatiscente con gravi conseguenze psicologiche.

Riondino è Caterino Lamanna, la cui fattoria è in disuso a causa dell’Ilva vicina, ha una donna che vorrebbe sposare, è sorpreso quando un dirigente (il bravissimo Elio Germano) gli propone di fare la spia trasferendolo alla palazzina e facendogli credere che si tratta di una promozione che l’uomo ingenuamente accetta, passando dalla parte dei padrini – così crede. Lamanna fa bene la sua parte, per un momento va in crisi quando un collega anche lui spione si dissocia, ma poi, quando arrivano la magistratura e il processo, egli, passando sopra alle ingiustizie che pure ha visto, sta con i più forti, cioè i padroni. Ma resta inesorabilmente solo. Caterino è un uomo semplice e buono, ma un fantoccio in mano ai potenti e non avendo filtri né strumenti culturali non si rende conto di farsi complice di ingiustizie. Gli importa di non lavorare più ai forni e di avere una misera stanza che a lui pare un ufficio.

Il film è amaro, deciso nel delineare le astuzie dei dirigenti, i contrasti caratteriali, la lotta sindacale, la diffidenza reciproca e l’ingenua stoltezza di Caterino. Il ritmo è rapido, i dialoghi i n dialetto o italiano sciolti, la luce smorta su animali uomini e cose, ricordano i lavori di Monicelli e e Germi. Una tragedia operaia sul ricordo di quelle arcaiche, dolorose e mai finite. Da vedere.

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