Un convegno interreligioso per i 30 anni della Coreis
La COREIS (Comunità Religiosa Islamica Italiana) compie trent’anni e festeggia il suo trentennale con un convegno, ospite a Padova del rettore della Basilica di Sant’Antonio, egli stesso relatore al convegno nella prestigiosa sala dello Studio Teologico del Santo.
Il tema scelto è caro ad entrambe le religioni: i rapporti tra dimensione contemplativa ed azione religiosa; il tema, importante per la vita spirituale, viene declinato illustrando il pensiero di contemplativi e contemplative, “maestri”, delle due rispettive religioni.
Maestri cristiani sono due mistici contemporanei e non “canonici”; uno è Thomas Merton, notissimo monaco trappista americano, l’altra è la assai meno nota Madeleine Delbrêl, operaia francese, originalissima scrittrice mistica e contemplatrice assai profonda. Cito la Delbrêl: “Gli ambienti strettamente umani, che sono gli ambienti senza fede in cui noi viviamo, dovrebbero far nascere in noi una sete inestinguibile di soprannaturale”. Ed anche “L’obiettivo di Dio è di incontrare gli uomini che lo cercano attraverso persone fragili come noi”.
Viene in luce anche la straordinaria figura di una donna mistica musulmana, Rābiʿa al-ʿAdawiyya al-Qaysiyya, che visse la sua vita solitaria e ascetica nel deserto vicino Bassora. Rābiʿa è considerata la “madre del sufismo“, la corrente mistica dell’islam; la sua scelta dell’Assoluto fu così radicale da implicare perfino una scelta di verginità e di nubilato sentendosi già spiritualmente “sposata con Dio”, cosa inconsueta se non addirittura malvista nell’Islam.
Nella sua contemplazione mistica Rābiʿa insiste nel chiamare Dio non Signore, né padrone, ma “l’Amato” ed alla fine del suo pellegrinaggio alla Mecca, dinanzi alla Ka’ba chiese a Dio di darle solo “un atomo della sua infinita umiltà”: chiese insomma di essere niente, di “farsi nulla”.
Rābiʿa visse tra il 700 e l’800 d.C. proprio all’inizio dell’Islam, ma appare con chiarezza che la contemplazione mistica porti sempre ad illuminazioni uguali, se non identiche, in una o in un’altra religione. C’è un detto della tradizione islamica secondo cui i santi sono riconoscibili nel mondo per il fatto che al solo vederli ci ricordano Dio. A Maria Vergine, e solo a lei, per l’Islam spetterebbe il compito di accompagnare, dopo la morte, le anime al cospetto di Dio.
Si è parlato anche di René Guénon, intellettuale francese che ebbe una profonda esperienza mistica nel sufismo. Il dialogo tra le religioni nasce dalla profondità delle loro specifiche spiritualità ed è lontano, assolutamente estraneo, da ogni tentazione di sincretismo.
“Il cuore è lo strumento per conoscere Dio; l’intelletto tenta solo di descriverlo”, ha detto una relatrice e questo è l’esempio di mille altre cose comuni a chi vive esperienze di fede in religioni teologicamente così incompatibili, come l’islam ed il cristianesimo, mirate però entrambe alla vita in Dio, all’unico Dio, quello di Abramo.
E dall’immenso affresco alle spalle dei relatori San Francesco, memore del suo storico incontro col sultano Malik al-Kāmil, sembra benedire il convegno che il suo convento ospita. L’uditorio, non numeroso, è attento e si rivela competente e profondo nei tanti interventi a conclusione dell’incontro.
C’è un ambiente sereno in sala, ci sono sorrisi e sguardi pacifici, c’è aria di fraternità; è ormai lontano anche lo stupore di essersi scoperti, non da moltissimi anni per chi scrive, figli dello stesso Dio e, per vie apparentemente diverse, in cammino, insieme verso di Lui, l’unico Dio.
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