Giulia e Filippo: silenzio, per favore
All’indomani del ritrovamento di Giulia Cecchettin ormai morta in un dirupo a due passi dal lago friulano di Bàrcis, uccisa dal suo ex fidanzato Filippo Turetta non si sa ancora bene in che modo ma comunque barbaro e totalmente irrazionale, mi son trovato ad accendere la tv generalista per eccellenza, quella del servizio pubblico, rimanendo allibito per la lunghezza dei servizi sulla vicenda di cronaca: 15 minuti per il tg1 e 14 per il Tg2. Un vago senso di nausea mi ha preso al collo, e nello stesso tempo ho provato un moto di compassione per i colleghi che erano costretti a ripetere le poche cose che si sapevano, a usare condizionali a iosa, a intervistare improbabili esperti (perché erano obbligati a dire banalità da manuale del piccolo psicologo). Compassione.
Sì, perché, a parte qualche collega assetato di scoop, di sangue, sesso e soldi, sono sicuro che quei giornalisti avrebbero preferito di gran lunga girare servizi sulle guerre in corso, sulla povertà di troppa gente, sugli exploit culturali di qualche scienziato; avrebbero preferito intervistare un poeta kirghizo o uno sciamano boliviano piuttosto che rivangare nel fango insanguinato di una relazione morbosa, come purtroppo ce ne sono tante, troppe.
Osservando quei telegiornali di servizio pubblico − ma usiamo ancora questa espressione? −, cosa poteva immaginare la famigliola anziana di Bordighera; i frequentatori del bar di Acireale, o la single di Castelfranco Veneto? Che la nostra Italietta è vittima di una pandemia di omicidi, in particolare di femminicidi. Allora ho fatto una semplicissima ricerca sulla rete: gli omicidi in Italia stanno seguendo da anni una chiara tendenza al ribasso, anche se diminuiscono più gli uomini assassinati che le donne. Due Paesi diversi, allora? Sembrerebbe. Sta di fatto che le regole mediatiche ormai affermate e irrinunciabili − se si vuole rimanere in un certo sistema capitalistico selvaggio − dicono che per tenere fissi sul proprio prodotto mediatico i fruitori bisogna usare poche leve: sesso, soldi, soprattutto sangue, una buona dose di sport, attenzione forte sulla salute della gente. Il caso di Giulia e Filippo sembra fatto apposta per rispondere a queste esigenze: fidelizzare gli spettatori e attrarre tanta pubblicità.
Indubbiamente, poi, entra in gioco la professionalità dei giornalisti. Ma, mi si creda, non sono tanto in gioco le loro capacità quanto la scarsa libertà di cui godono. L’Italia nel mondo è al quarantasettesimo posto nella graduazione dei Paesi con maggior libertà di stampa, e scende ogni anno. Bisogna scrivere e trasmettere notizie secondo le linee editoriali e commerciali di proprietari e relativi direttori, c’è poco da fare, soprattutto negli organi di informazione televisivi e radiofonici, un po’ meno in quelli cartacei.
Ancora, come negare che i governanti − quelli di oggi non molto più di quelli di ieri, e probabilmente un po’ meno di quelli di domani −, abbiano interesse a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai dossier caldi: guerre, nuove povertà, asili mancanti e contemporanea denatalità, integrazione europea… proprio quelli che fanno perdere preziosi punti percentuali nei sondaggi e, a termine, nelle elezioni? Un quarto d’ora di offese alla lingua italiana e al buon senso, di mancanza di rispetto per l’intimità della famiglia e di attenzione per chi soffre permettono di evitare danni politici maggiori.
Resta comunque un dubbio in questo come in tanti altri casi simili: vogliamo veramente rispettare la riservatezza della famiglia implicata nella tragedia? Non sarebbe meglio far silenzio? L’attrattiva mediatica può dare l’illusione che un’esposizione elevata sia il miglior modo per elaborare il lutto e che, politicamente, tale esposizione possa portare a un miglioramento sociale complessivo: così, ad esempio, la legge approvata all’unanimità contro i femminicidi; e così l’attenzione che verrebbe messa dalla gente sulla gestualità delle donne che si trovano in pericolo, favorendo l’intervento delle forze dell’ordine… Sacrosante misure: ma servivano, lo ripeto, 15 minuti di notizie ripetitive su un caso di cronaca per affrontare il problema? Gli omicidi in Italia sono meno di 300 all’anno, dieci volte tanto sono i morti sulla strada, trenta o quaranta volte di più gli infartuati non soccorsi con un defibrillatore e via dicendo.
Juxta modum, ripetevano i latini, grandi esperti di diritto: i fatti di cronaca vanno affrontati con la giusta misura. Stiamo ripetendo il caso Sutter? Stiamo ripetendo il caso Cogne? Ancora peggio di prima?