Il Friuli si mobilita a favore del messale in friulano
La cosa è pressoché sconosciuta al di fuori del Friuli, ma esiste un messale in lingua friulana. Un’opera iniziata negli anni Settanta con la prima traduzione di pre Checo Placereani [“pre” sta per “don”, ndr] e pre Toni Beline; e che una ventina d’anni fa, alla luce della decisione della Cei di accogliere le lingue difese dalla legge del 1999 in materia di tutela delle lingue minoritarie (qual è appunto il friulano), ha intrapreso il suo percorso ufficiale verso l’approvazione dei vescovi. Approvazione che però mercoledì 15 novembre, nell’ambito della 78^ assemblea generale straordinaria ad Assisi, non è arrivata: è infatti stata mancata di poco la maggioranza qualificata dei due terzi necessaria a tal fine.
In quel di Udine si è naturalmente registrato vivo disappunto, per diverse ragioni. In primo luogo perché il friulano è lingua a tutti gli effetti: è comunemente parlata dalla maggioranza della popolazione; si insegna nelle scuole, dall’infanzia all’università; i cartelli stradali sono bilingui; è attiva una storica Società Filologica, che possiamo definire l’equivalente locale dell’Accademia della Crusca, e vanta svariate pubblicazioni in tema di filologia, storia, grammatica e letteratura friulana; la Regione ha una sua agenzia, l’Arlef – Agjenzie regjonâl pe lenghe furlane (Agenzia regionale per la lingua friulana) che coordina le attività relative alla tutela e alla promozione della lingua friulana; esiste una riconosciuta produzione letteraria – sia in poesia che in prosa -, canora, cinematografica, e più in generale artistica in lingua friulana. Naturale quindi che ci si chieda perché all’elenco di chi considera il friulano al pari delle altre lingue debba mancare solo la Cei.
Tanto più che il friulano è già ampiamente utilizzato come lingua liturgica: basti pensare che la stessa arcidiocesi di Udine ha a lungo celebrato ogni sabato una messa in friulano all’Oratorio della Purità, gioiello artistico del Tiepolo situato accanto alla cattedrale. Oltre a questo, è comune che nelle parrocchie vengano cantati inni o recitate preghiere in friulano. Esistono già infatti il lezionario e la Bibbia in friulano, utilizzati per la celebrazione della messa, ma manca appunto il messale per completare il quadro.
Altro punto controverso è il fatto che esistano già messali approvati in altre lingue minoritarie, come il catalano: non si vede quindi perché, ha fatto notare il direttore dell’ufficio diocesano per la liturgia e membro della Commissione interdiocesana per la traduzione don Loris Della Pietra, il friulano debba rimanere escluso. Un’esclusione vista come uno “schiaffo” anche altre lingue minoritarie del territorio italiano che si afferma di voler tutelare, e per le quali questo precedente costituirebbe un ostacolo ad un’analoga richiesta di approvazione.
Sia come sia, si sono registrate una serie di iniziative per far arrivare a Roma la contrarietà di molti prelati e molti fedeli a questa decisione: dalle messe in friulano celebrate per l’occasione, alle petizioni online – quella promossa da Christian Romanini, direttore dell’Anuari di Glesie Furlane, ha raccolto un migliaio di firme nella prima ora dopo essere stata lanciata -, alla missiva alla Cei da parte dei 141 sindaci dell’assemblea di Comunità linguistica friulana (Aclif) fino, naturalmente, al diretto interessamento delle autorità diocesane.
L’arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, ha infatti assicurato di aver ottenuto dal cardinal Zuppi, presidente della Cei, la disponibilità a continuare l’interlocuzione direttamente con la Santa Sede, con il Dicastero del culto divino. Va ricordato peraltro che il percorso di approvazione, dopo essersi arenato nel 2004, era ripartito nel 2009 proprio all’arrivo in diocesi di mons. Mazzocato (non un friulano, ma un veneto, ironia della sorte) che ci aveva fortemente creduto. La storia del messale in friulano, quindi, al momento non è conclusa.