L’Argentina ha scommesso su Javier Milei

Un economista paladino delle libertà individuali ha capitalizzato la stanchezza e lo scontento sociale di un Paese con più povertà che mai, con la promessa di alleggerire uno Stato che vuole rifondare e di farla finita con la corruzione. L’incognita della governabilità per una coalizione di destra senza maggioranza parlamentare.
Javier Milei, nuovo presidente argentino. (AP Photo/Natacha Pisarenko, File)

Nessuno si aspettava una vittoria così ampia – 55,7% contro 44,3% – per la quale il suo avversario ha riconosciuto la sconfitta persino prima che si conoscessero i risultati ufficiali parziali.

Gli argentini hanno scommesso su un cambio radicale di visione e di proposte e hanno eletto un economista libertario antisistema. Solo da due anni, Javier Milei è entrato in politica come deputato, da istrionico economista proveniente dal settore privato, ammiratore di Margaret Thatcher e Donald Trump, che proclamava in televisione proposte strampalate come dollarizzare l’economia, chiudere la Banca Centrale e lasciare allo Stato solo la gestione della sicurezza e della salute. Autodefinitosi “anarco-capitalista”, secondo lui per riportare l’Argentina ad essere “il Paese più ricco del mondo” occorre lasciare campo aperto al libero mercato.

Con un discorso aggressivo nei confronti della casta politica definita “ladra”, è riuscito ad interpretare il sentire di porzioni crescenti di argentini, e a convincere via via sempre più giovani con un’abile strategia di comunicazione sui social.

Ma il trionfo di Javier Milei (53 anni), più che un’adesione convinta rappresenta un “basta” a una politica che non ha saputo rispondere ai problemi della gente e che ha prodotto livelli di povertà mai visti.

Un modello, quello difeso fino all’ultimo dal suo contendente nel ballottaggio di ieri, il peronista Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia. La “campagna della paura” con la quale Massa avvertiva delle conseguenze catastrofiche per le tasche dei più vulnerabili dei tagli alla spesa pubblica promessi da Milei non ha convinto, come le misure d’emergenza (il cui costo si pagherà nei prossimi mesi) lanciate dal candidato peronista per arginare la situazione nei settori più massacrati dalla crisi.

Le sfide per il presidente eletto, che assumerà l’incarico il 10 dicembre, sono immani. Ma quella fondamentale sarà la governabilità. «Non c’è spazio per la gradualità» ha detto il neo eletto nel suo discorso della vittoria. Intende governare per decreto e sottoporre le questioni più problematiche a referendum, ma per fare questo dovrà avere un certo appoggio del Parlamento. Invece, nonostante un evidente avallo dell’elettorato – ha vinto in 21 delle 24 circoscrizioni elettorali – il leader del giovane partito “La Libertà Avanza” (Lla) ha dalla sua meno del 15% dei deputati e 10% dei senatori e nessun governatore provinciale. Milei ha tuonato a lungo che il cambiamento del quale ha bisogno l’Argentina non lo può fare “la casta”, ovvero i politici di professione. Eppure dovrà negoziare con loro. Potrà avvalersi dell’esperienza dell’ex presidente Mauricio Macri e di Patricia Bullrich, della coalizione di centrodestra dalla quale recluterà vari ministri, ma non si tratterà di un appoggio incondizionato, dato il disaccordo su alcune delle politiche proposte. Anche con i voti dei parlamentari di centrodestra, la Camera dei Deputati è virtualmente in mano all’opposizione peronista.

Ma la governabilità in Argentina è determinata anche dal grado di conflitto sociale. Come fanno notare gli analisti, le ondate di scioperi e di saccheggi e i blocchi delle strade non si sono mai verificati col peronismo al governo, anche nelle crisi più profonde come quella attuale. Due dei tre governi non peronisti nei 40 anni di ritorno alla democrazia sono finiti anzitempo per questa ragione.

Lla è un movimento politico giovane e composto in gran parte di outsiders, credibile perché non immerso nelle “sporcizie” della politica ma del tutto inesperto nella gestione della cosa pubblica. Come la campagna elettorale e i dibattiti televisivi dei candidati hanno evidenziato.

Ma Milei e i suoi non sembrano neppure sprovveduti. Da qui all’investitura lavoreranno in silenzio per creare e consolidare accordi con soci politici attuali e potenziali.

Dal messaggio “che se ne vadano tutti a casa” gridato alla casta politica, Milei è passato ieri a invitare “tutti coloro che abbracciano le idee della libertà”, promettendo che “saranno benvenuti, vengano da dove vengano”.

Dollarizzazione, riforma del lavoro, privatizzazioni, tagli alle tasse, riduzione a 8 dei 18 ministeri attuali saranno misure attuate con tenacia e pragmatismo, con un occhio alle reazioni dei mercati, secondo Milei.

Grandi incognite saranno le relazioni internazionali. I diritti umani e civili sono a rischio con le promesse di mano dura del presidente eletto e con i ministeri dell’area della Giustizia e della Sicurezza in mano alla vicepresidente, figlia e nipote di militari, ritenuta negazionista del terrorismo di Stato degli anni della dittatura militare.

Alcune riforme importanti sono state rimandate: scuola, assistenza, pensioni, sanità. Però, secondo Milei già nel 2024 aumenteranno le entrate dello Stato provenienti dalle esportazioni del settore agricolo, ci sarà per la prima volta un saldo positivo nella bilancia commerciale energetica grazie al nuovo gasdotto Nestor Kirchner e al giacimento petrolifero di Vaca Muerta, e all’estrazione di litio. Ma le incognite superano ampiamente le certezze.

La maggioranza degli argentini ha deciso di dare una sorta di assegno in bianco a chi ha espresso i loro sentimenti e sembra puntare ad un altro modo di fare politica. Hanno favorito un outsider, un economista che ha idee radicali, alcune delle quali appaiono di improbabile realizzazione. Gli argentini lo sanno e hanno scelto un cambiamento incerto, ma che appariva loro comunque più promettente della “vecchia politica”.

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