Lo stupore originario
Una ragazza che aveva chiesto di parlarmi per un confronto su domande che la mettevano in agitazione, mi stava raccontando alcuni episodi della sua vita. Ad un certo punto le chiesi: «Non ricordi qualche episodio in cui ti sei sentita, inaspettatamente e senza alcun motivo particolare, avvolta da una presenza misteriosa, forte e delicata allo stesso tempo?».
«Assolutamente no», fu la sua prima risposta. «Aspetta – mi disse dopo un po’ –, pensandoci bene, un momento così c’è stato. Ero adolescente, ero in gita con degli amici in montagna, stavo nuotando in un lago e non pensavo a niente di particolare quando all’improvviso, per qualche istante, ebbi la netta sensazione che qualcosa o qualcuno mi abbracciasse e che di colpo ogni cosa dentro di me e attorno a me si illuminasse».
Esperienze di questo tipo, come ho potuto constatare in numerosi colloqui, fanno parte integrante del nostro vissuto più di quanto a prima vista si possa immaginare. La loro memoria per alcuni è rimasta sempre vivida, per altri riemerge dopo periodi più o meno lunghi di ecclissi o di occultamento. Questi “eventi” particolari che si producono senza un preciso fatto scatenante, hanno in comune una caratteristica: quella dello stupore.
Lo stupore è dovuto all’intensità e alla singolarità dell’“attenzione” di cui di colpo ci sentiamo oggetto. Siamo sorpresi perché è come se ci sentissimo chiamati per nome da qualcuno che ci conosce intimamente.
«Avevo 10 anni – mi raccontava un signore anziano –, era notte, e stavo tornando a casa nel mio paesetto di campagna camminando sotto un limpido cielo stellato. Ad un certo punto, guardando il firmamento, avvertii un’attrazione così forte che mi fermai e, rivolto verso l’alto, esclamai: prendimi con te!».
In questi momenti è come se riecheggiassero dentro di noi le parole del profeta Geremia: «Da lontano mi è apparso il Signore: “Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele”» (Ger 31,3).
Questo tipo di stupore che a volte sperimentiamo nella vita, in realtà ha la sua fonte originaria in un altro stupore, esterno a noi: quello dell’artista che ci ha creati. «Ogni volta rimango impressionato da questo fatto – mi dice un mio amico scultore –: l’opera realizzata corrisponde a quello che avevo in mente, ma ha anche una sua originalità che mi sorprende, che mi dice qualcosa di nuovo».
Dopo aver creato l’uomo, dice il libro della Genesi, «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto bella (la parola originaria ebraica, tôv, significa sia buona che bella, ndr)» (Gen 1,31). Non semplicemente “bella”, come aveva osservato a conclusione dei precedenti atti creativi, ma “molto bella”. L’uomo, creato a immagine di Dio, ha in sé una preziosità intrinseca, originale che suscita il compiacimento e l’ammirazione da parte del suo creatore.
Quando per bocca di Isaia Dio esorta il suo popolo a non aver paura, dice anche il perché: Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo (Is 43,4).
La preziosità ravvisata, la stima, l’amore lasciano intravedere una sorta di stupore, di meraviglia esultante da parte di Dio: «(Il Signore) Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,17).
Ogni volta che veniamo o torniamo a contatto con questo stupore originario che da sempre ci precede, qualcosa si capovolge dentro di noi e la vita ritrova il suo baricentro.
In modo particolare in certi guadi della vita, quando il buio o il grigiore dell’esistenza o la durezza della prova attanagliano l’anima e quella luce che illuminava come un faro il nostro cammino non brilla più davanti a noi, è il momento di aprirci in maniera nuova a quello stupore che ci era stato donato, a quel primo amore che in realtà non ci ha mai abbandonato. Esso è lì, da qualche parte dentro di noi, quasi in attesa, questa volta, di un nostro cenno di consenso, per poter rendere più luminoso e più spedito il nostro cammino.
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