Media poco equilibrati?

A proposito delle guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente, ma anche altrove, gli organi di informazione italiani non riescono sempre a essere equilibrati
Foto Freepik

Questione scomoda ma ineludibile: giornali e telegiornali, radiogiornali e siti d’informazione riescono a rimanere imparziali ed equilibrati quando si tratta di dar conto delle guerre che purtroppo in questo momento sono attive – Ucraina e Gaza, Siria e Nagorno-Karabakh… –, oppure soggiacciono ai potenti di turno o alla convenienza? Ovviamente, le risposte non possono essere univoche, perché un’analisi del genere non può essere solo quantitativa, ma anche qualitativa.

Per capire il problema, alcune premesse sono necessarie per capire che siamo di fronte a un problema complesso. In primo luogo, in guerra è assai complicato e raro esprimere un giudizio obiettivo stando sul terreno, semplicemente perché sui campi di battaglia di solito il giornalista opera al seguito di una delle due parti, e quindi ha uno spazio di obiettività di per sé limitato: un giornalista che scrivesse cose scomode per la fazione che sta proteggendolo, verrebbe evidentemente allontanato dal fronte. Già questo semplice fatto può suggerirci quanto sia complicato essere obiettivi sui campi di battaglia.

Per restare dal lato del giornalista, bisogna poi sempre considerare la tradizione più o meno affermata di libertà di stampa in un dato Paese: che libertà ha il professionista di scrivere liberamente quello che vede e dare la necessaria spiegazione? Può farlo indipendentemente dalla linea editoriale e dai desiderata del direttore di turno? L’Italia è molto indietro nella classifica internazionale sulla libertà di stampa: è scesa al 58° posto nella lista del World Press Freedom Index: «Pesano le sanzioni penali, la dipendenza economica e la forte polarizzazione dell’opinione pubblica in seguito alla pandemia», si legge nelle motivazioni.

In soldoni: le linee editoriale del proprio organo d’informazione sono determinate dalla proprietà e dalla direzione. In Italia tale linea ha troppo spesso il sopravvento sulla necessità di lasciare i giornalisti liberi di esprimersi e di esprimere quello che vedono o scoprono. Senza considerare che, date queste condizioni, spesso e volentieri il giornalista si autocensura per non veder messo a rischio il proprio posto di lavoro. In Italia, i maggiori organi d’informazione sono schierati politicamente, spesso e volentieri in modo assai sfacciato, cosicché i giornalisti di quel medium si trovano spesso ad essere “più papisti del papa”.

Senza poi considerare i legami diretti o indiretti che legano la stampa ai governi che via via si succedono a Palazzo Chigi, sapendo che spesso gli organi di stampa ricevono sussidi dall’esecutivo. Tali contributi all’editoria – normalmente quasi tutti i giornali, siti, tv e radio hanno margini così esegui da averne bisogno come ossigeno per sopravvivere – non sono mai totalmente automatici, c’è sempre un certo margine di discrezionalità. Quindi…

Altro elemento, il digitale: da quando tale “mondo nuovissimo” è entrato nelle giornate di tutti noi anche l’informazione è stata travolta. Nell’ambito mediatico la rivoluzione digitale ha infatti cambiato e sta cambiando in modo radicale il modo di lavorare dei giornalisti, mettendo persino in discussione, a causa dell’intelligenza artificiale, la necessità di assumere tanti professionisti che lavorano al desk, cioè davanti a uno schermo per elaborare le notizie da pubblicare. Di più, il digitale sta rivoluzionando anche l’accesso alle notizie: gli algoritmi dei principali motori di ricerca possono, con lievi modifiche, diffondere notizie dappertutto o, al contrario, bloccarle in qualche meandro oscuro della Rete. Di più, tali algoritmi possono favorire la polarizzazione delle posizioni, impedendo una reale discussione sul web, e quindi una reale concorrenzialità tra diversi media.

Ancora, è inutile sottolineare come i grossi gruppi mediatici, una dozzina al mondo, influenzino nel bene o nel male le decine di migliaia di organi di informazione medi o piccoli sparsi per il pianeta: le loro “scalette”, cioè l’ordine da essi dato alle notizie globali, vengono sostanzialmente riprese pari pari dai “piccoli”, che non hanno la possibilità, spesso, nemmeno di verificare la loro bontà. «Lo dice l’Associated Press, lo afferma la Reuters…», si dice nelle redazioni, come a dire, se lo dicono loro la notizia è vera. Ma non è sempre vero.

Ma basta anche meno per accorgersi che qualcosa non quadra: quando un quotidiano pubblica su una data guerra una serie di titoli unilaterali, beh, c’è da dubitare dell’obiettività dell’informazione. Cosa che accade quotidianamente per le diverse guerre che in questo momento imperversano sul pianeta. Niente complottismi: non c’è una cupola che gestirebbe tutto, non ci sono lobby massoniche o altro che dominerebbero l’informazione mondiale. Casomai l’influenzano, questo sì, e anche pesantemente.

Al solito, non fissiamoci su un solo organo di stampa, variamo le nostre letture per informarci adeguatamente. Se conosciamo le lingue, beh, ci sono molte più possibilità di variare le proprie fonti d’informazione; ma anche nella nostra lingua si può cercare di capire i fatti offrendosi letture di campi avversi, disponibili sulla Rete. Anche se è più facile legarsi a un quotidiano particolare e pigramente mai staccarsi da esso.

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