30 anni dei “10 comandamenti”, intervista a don Fabio Rosini
Correva l’anno 1993 quando don Fabio Rosini, oggi responsabile per l’Ufficio vocazioni della diocesi di Roma, ma allora vicario parrocchiale a S. Maria Goretti, appena ordinato sacerdote, ricevette l’incarico di accompagnare 16 ragazzi del dopo cresima nel loro percorso di fede. Quelle catechesi pensate per orientare quel piccolo gruppo di giovani attraverso dei punti di riferimento chiari e contundenti ebbero grande risonanza e, grazie al passa parola, i ragazzi e ragazze arrivarono in centinaia.
Questo semplice inizio costituì le basi di un cammino personale e comunitario di discernimento ideato per aiutare ogni persona a scoprire la volontà di Dio nella propria vita mediante la conoscenza profonda di sé stessi e del Padre. Il corso si intitola Le 10 Parole e offre un approfondimento biblico ed esperienziale seguendo e conoscendo il vero significato dei 10 comandamenti della fede cristiana.
Testimonianze, meditazioni personali sulle Sacre Scritture e condivisione fraterna fanno parte di questa proposta formativa di spiritualità cattolica, della durata di un anno, in cui gli insegnamenti biblici si intrecciano con le questioni della vita quotidiana. Le 10 Parole hanno attirato migliaia di giovani nel corso degli anni, espandendosi anche ad altri Paesi di tutto il mondo. Abbiamo intervistato padre Fabio Rosini, ideatore e primo promotore del corso, in occasione del 30esimo anniversario dai suoi inizi.
Come ha avuto questa ispirazione di iniziare un percorso con i giovani sui 10 comandamenti?
C’è stata l’intuizione di fare il percorso Le 10 Parole con il fine di fare del bene ai ragazzi e mi ci sono messo a servizio. Io personalmente avrei fatto altro, mi ero formato per andare in un’altra direzione, ma alla fine quello che Dio fa è molto più bello di quello che noi possiamo desiderare.
Quando mi sono messo in contatto con quei primi giovani, ho percepito in loro la mancanza del padre, una figura di padre amorfo e inconsistente e di madre ipertrofica. Ho colto all’epoca quella crisi di paternità che nell’attualità è diventato argomento di dominio pubblico, e ho iniziato a fare da padre nella fede per loro, dicendo loro dei “no” paterni. Sono diventato una figura di riferimento per tanti di questi ragazzi, che ho visto maturare, sbocciare, e che oggi sono dei genitori coraggiosi e solidi, o bravi sacerdoti e missionari.
Quante migliaia di giovani vi hanno partecipato?
Tantissimi, ma i numeri contano poco, ciò che conta è la qualità. Il primo anno erano attorno a un centinaio, poi siamo arrivati a 1.000 giovani all’anno. Ci sono stati degli anni in cui ho portato avanti fino a tre gruppi in contemporanea, svolgendo 5 incontri a settimana perché erano troppi e bisognava dividersi. Nel 2019 oltre al gruppo per i giovani ho fatto Le 10 Parole con gli adulti e siamo arrivati alle 1.400 persone. Alcuni stimano che in 30 anni siano stati in 30.000 o 40.000 a seguire le catechesi sui 10 comandamenti. Quest’anno hanno iniziato il corso in un migliaio, con gli accompagnatori, ma attualmente sono rimasti in 700.
Per quale motivo pensa che i giovani si rechino in centinaia a sentire queste catechesi su argomenti che non ci sono del tutto “nuovi”?
Non è nuovo il contenuto bensì la chiarezza comunicativa. Come società abbiamo la tendenza all’ambiguità, crediamo di raggiungere un’audience più ampia se diciamo quello che gli altri si vogliono sentir dire, ma non è così. Non fa un buon gioco chi si svende ma chi è più netto, più chiaro. Come vendere una sottomarca del Vangelo se abbiamo l’originale?
Il problema della globalizzazione è la spersonalizzazione, l’appiattimento delle culture che invece bisogna valorizzare. Ci vuole un processo diverso: la vita nasce per fecondazione, una parola entra nel cuore, e io alimento questo processo. Questa attitudine ha fatto sì che la gente venisse in massa a sentire Le 10 Parole. In più, il percorso non richiede un’appartenenza ad una determinata realtà, è un’esperienza che si fa, un cammino che personalizza il proprio vissuto, di fronte alla logica ansiogena di indifferenziazione che porta a non sentirsi riconosciuti.
Che influenza o quali cambiamenti ha visto che Le 10 Parole hanno avuto su coloro che le hanno ascoltate?
Il percorso ha aiutato le persone a togliersi le maschere e, trovando sé stessi, hanno capito la propria vocazione e hanno trovato Dio. Questa è l’idea più nobile della vita. Dio ha una relazione autentica con l’uomo, fedele, limpida; Lui è Padre e genera la vita. Bisogna passare dalla legge alla grazia. Ho capito che non potevo servirli uniformandoli, ogni persona è un’opera unica che bisogna curare consegnandole la Parola. Non avrebbe avuto senso torturarli con un “modello di cristiano”, dovevo invece custodire l’opera di Dio in loro, come deve far un padre nel figlio…, e chi sa che cristiano verrà fuori!
Le 10 Parole è un cammino di discernimento vocazionale in cui si cerca di scoprire la volontà di Dio per la nostra vita… Ma come si fa a capirlo? Come riuscire a comprendere davanti ad una scelta da fare se i miei desideri sono allineati ai desideri di Dio per la mia vita?
È una cosa composita. Ad oggi mancano le vocazioni? No, mancano i cristiani; le chiese sono vuote, non i seminari. Perciò la prima cosa è imparare a vivere da figli di Dio, apprendere buone abitudini. Dalla relazione con Dio viene la vocazione. Certo, bisogna pregare, entrare in contatto col proprio cuore, avvicinarsi al sacramento della riconciliazione, avere una guida spirituale… In questo modo ci si sintonizza sulla volontà di Dio. Queste sono sorgenti di vita buona. Un buon discernimento finisce con la verità, per cui bisogna portare i ragazzi al loro vero essere.
Cosa succede se i miei desideri non si avverano? Devo essere paziente ed aspettare il tempo opportuno, o chiedermi se veramente Dio vuole altro da me?
È drammatico assolutizzare i desideri, nella vita cambiano. Non sono quindi l’assoluto, forse dietro di essi si nascondono le nostre paure. Il desiderio deve essere smussato, frantumato dall’impatto col reale. Cos’è vivere? Le aspettative non appagano, devo valorizzare la mia vita, imparare l’arte di amare ciò che faccio, non di fare ciò che amo.
Per gli orientali, noi occidentali siamo molto stupidi, perché ci sposiamo perché ci amiamo, invece loro dicono che ci si sposa per amarsi. Ecco, bisogna imparare a vivere la vita che c’è, non quella che uno desidera. Serve entrare nel disegno, nella volontà di Dio, imparando ad essere quello che si è realmente.
Qual è il messaggio principale che si apprende se si fa un buon percorso di discernimento con i 10 comandamenti?
Che è da figlio di Dio che devi vivere, è Lui tuo Padre. L’importante non è cosa fare ma il come la si fa. Nella vita ci sono i fallimenti, i peccati nessuno li dimentica, ma c’è pure la libertà.
In questo senso, quali sono i frutti che ha percepito in questi 30 anni di servizio ai giovani?
Appunto lo scoprire il Padre e l’iniziare a ragionare da figli, non più da abbandonati, in comunione con la Chiesa cattolica. Sono contento di aver formato dei cattolici, gente che ha voglia di vivere. È per questo che la gente fa figli, perché è contenta di vivere. Ho dovuto intendere bene la differenza tra educazione e formazione. La persona deve non essere uniformata ma accompagnata in un processo di educazione alla fede.
Qual è invece la parte più difficile che si deve affrontare durante questo cammino?
Liberarsi dal proprio ego. È questa, per tutti.
Qual è la chiave per sviluppare un percorso avvincente per trasmettere la Parola di Dio alle nuove generazioni?
Dare la Parola senza comunicare in maniera assiomatica, adoperare la Parola in chiave addestrativa, pragmatica ed esistenziale. Dire ciò che è giusto o sbagliato non serve a niente, bisogna capire come entrarci. Come dicevo, il come è più importante del cosa ed è ciò che la gente vuole capire ― perciò vanno tutti sui tutorial di YouTube! ―, devo fornire la prassi delle cose.
Come si è evoluto il percorso negli anni? Quali cambiamenti e quali conferme invece di continuare su questa strada?
Il codex è quello, l’intuizione primaria della battaglia per riuscire a liberarsi dall’uomo vecchio. È il modo di porsi che si è evoluto. Forse sono diventato più paterno, una maturazione che è stata segnalata anche dai fratelli sacerdoti. Con la prima generazione dovevo combattere, negli anni ‘90 i giovani della cosiddetta New Age non erano più idealisti ma individualisti, ed è stato buono che io parlassi loro con una certa durezza. Adesso vedo una generazione di giovani più fragile, per cui offro sempre una prospettiva costruttiva e di speranza. Questo l’ho capito negli anni, e dal 2000 in poi mi sono dovuto correggere. Penso che bisogni sempre usare una lingua che possa essere intesa da chi ascolta.
Ci può condividere un’esperienza che l’abbia segnata profondamente in questi anni di catechesi?
Ce ne sono tante, ma a titolo personale direi che il Signore mi ha salvato con le malattie. Il dolore fisico mi ha costretto ad aggrapparmi a Lui. La malattia ti fa capire quanto sei fragile e sostituibile.
Quale auspicio per gli anni a venire?
Confido nella Chiesa e nello Spirito Santo, bisogna mantenere la propria identità. Il percorso non è una panacea né l’unica realtà esistente, non auspico che tutta la Chiesa faccia Le 10 Parole, ciascuno faccia la sua parte.
Io voglio il diritto di morire, di non dover essere necessario. Infatti, una cosa che mi tranquillizza è sapere che ci sono tanti sacerdoti che si stanno formando per portare avanti il percorso e sono in grado di farlo. Un aspetto importante è che i miei confratelli volevano che condividessi con loro questa formazione, e così ho fatto. Si sono formati altri gruppi a Roma che insegnano i 10 comandamenti, e sono circa 80 le diocesi in Italia che li fanno. Anche all’estero si fa il corso: Argentina, Brasile, Colombia, Albania, Croazia, Irlanda, Malta, Monaco, Polonia, Regno Unito, Romania, Serbia, Spagna…
Il 12 settembre ci sarà una messa di ringraziamento per questi 30 anni. Come sarà?
Sarà una festa liturgica per celebrare e rendere grazie, semplicemente. Non ho una struttura o corte, un cordone sanitario che mi protegga, non ce l’ho mai avuto perché ho considerato che fosse meglio così. Dopo l’Eucaristia i sacerdoti faremo un ritiro in una casa di esercizi spirituali, mentre ai giovani ho suggerito di organizzarsi tra di loro per prendersi una pizza assieme.
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