Da Atatürk a Erdogan: 100 anni di Turchia
La Turchia moderna nasce ufficialmente il 29 ottobre 1923. Da quasi un anno era stato abolito il sultanato (1 novembre 1922), che per 470 anni aveva governato l’Impero ottomano, il grande (e temuto) vicino dell’Europa. La lunga agonia dell’impero era in realtà iniziata oltre due secoli prima, ma la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, in cui la “Sublime Porta” si era alleata con gli Imperi Centrali (Austria-Ungheria e Prussia), era stata la goccia che sommata alle molte crisi istituzionali e mancate riforme aveva segnato il destino dei sultani di Istanbul. Nel Trattato di Sèvres (1920), imposto dai vincitori, ciò che rimaneva dell’impero turco era stato fatto a pezzi. Alla débâcle si oppose con fermezza il pascià (generale) Mustafa, che ben presto diventerà universalmente noto come il leader del partito nazionalista Mustafa Kemal. Più tardi, come primo presidente della nuova Repubblica turca, gli venne riconosciuto come titolo e come cognome quello di Atatürk, padre dei turchi. Era nato nel 1881 e morirà nel 1938, dopo 15 anni di “regno” da presidente. A 85 anni dalla sua scomparsa, Atatürk è ancora oggi in Turchia oggetto di una sorta di religione civile e chi mette in discussione la sua memoria compie un vero e proprio reato perseguibile per legge.
In continuità e in concorrenza con Atatürk si pone dal 2001 il fondatore del partito nazionalista e islamista Akp (Giustizia e sviluppo), Recep Tayyp Erdogan, primo ministro dal 2003 al 2014 e poi presidente della Turchia. Eletto finora due volte, con tutta probabilità resterà in carica fino al 2028.
Scriveva di Erdogan A. Muratore su Insideover nel gennaio 2023: «Erdogan, a suo modo, è sì un tribuno dell’Islam politico più spinto, ma anche e soprattutto l’ultimo grande leader nazionale turco. Dalla Gagauzia all’Ungheria, dal Kazakistan al subcontinente indiano, rivendica con orgoglio qualsiasi continuità tra entità nazionali e substatuali e l’eredità culturale dei turchi di un tempo».
Il portale Ahval (diretto dal giornalista turco Yavuz Baydar, in esilio per divergenza di opinioni con Erdogan, così come molti altri giornalisti fuggiti all’estero) interpreta così la continuità-discontinuità fra Atatürk ed Erdogan: «Atatürk è un mito per milioni di persone e ciò che Erdogan aspira a fare è imporre un mito su se stesso, erodendo così l’altro. Per lo meno spera di rendere il mito di Atatürk secondario nella mentalità collettiva».
Nel contesto dei festeggiamenti ad Ankara per i 100 anni dalla nascita della Repubblica di Turchia c’è stata l’ultima esternazione (imprevista ma in fondo prevedibile) del presidente Erdogan: «I miliziani di Hamas combattono per la loro terra… non sono terroristi ma liberatori». Ed ha accusato Israele di crimini contro l’umanità. Questo dopo aver riallacciato rapporti diplomatici con lo Stato ebraico da poco più di un anno. Evidentemente la prossima visita in Israele del presidente turco, da tempo programmata, è stata annullata. Ma non è l’unica conseguenza di questa presa di posizione, che ancora una volta negli ultimi anni ha messo in difficoltà l’Allenza atlantica (Nato), di cui la Turchia è membro da oltre 70 anni. A poche ore dalla dichiarazione a sostegno di Hamas e contro la politica israeliana, la borsa turca ha avuto una caduta del 7%, indice dei dubbi generati negli investitori occidentali che avevano da poco ripreso a puntare sulla Turchia dopo la forte crisi della moneta turca degli ultimi mesi.
Tra le reazioni alle pur differenti e lontane nel tempo politiche di Atatürk ed Erdogan, ce n’è una che certamente condividono, viene da dire, ed è lo sconcerto e il disappunto di molta diplomazia internazionale per le scelte operate ma anche l’attenzione alla crescita del ruolo internazionale della Turchia.
Bayram Balci su Oasiscenter (29 ottobre 2023) fa un bilancio tutto sommato non negativo di questi 100 anni di Repubblica turca e del ruolo di primo piano che oggi la Turchia si sta conquistando nel mondo: «Nell’arco di un secolo di vita, è emersa e ha prosperato una repubblica nazionale e turca, laica e moderna, capace di affermarsi sulla scena internazionale. Questo traguardo è da attribuire certamente ai suoi fondatori e ai leader successivi, ma anche all’abile recupero della prestigiosa eredità ottomana, nella quale si radicano l’orgoglio nazionale e la sicurezza del regime e dell’intero Paese. Questo successo è anche legato allo sgretolamento del vecchio ordine internazionale, che oggi favorisce l’ascesa di medie potenze come la Turchia. Il modo in cui quest’ultima saprà conservare e sviluppare il suo nuovo ruolo dipenderà anche dalla sua capacità di affrontare in maniera serena l’era post-Erdogan, il cui regno, che dura da 21 anni, finirà nel 2028».
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