Ascesa dei droni. Nel bene e nel male
In cerca di un po’ di frescura nella Villa Comunale di Castellammare di Stabia, lo sguardo mi viene attratto sull’arenile da un gruppo chiassoso in abiti eleganti: una coppia di sposi attorniati da parenti e amici. Pronti per le foto di rito sul suggestivo fondale del golfo di Napoli con l’isolotto di Rovigliano e il Vesuvio. Già, ma dov’è il fotografo? Ad un tratto un elicotterino-giocattolo sorvola il gruppo e inizia a puntarlo con le sue evoluzioni. Solo ora m’accorgo che a qualche metro da me, a manovrarlo all’ombra degli alberi, c’è l’addetto alle riprese video della scena festosa. Svolto il suo compito, il velivolo – un drone “quadricottero”, cioè a quattro rotori – torna a posarsi nelle sue mani come il falcone, di rientro da caccia, in quelle del padrone.
I droni. Ormai ci siamo abituati a vederli adoperati negli ambiti più diversi: fotografico, audiovisivo, meteorologico, aerospaziale, archeologico, di supporto all’uomo nella protezione civile, nel trasporto di merci, medicinali e organi da trapiantare, nell’individuare bracconieri e piromani e via dicendo. Eppure questa tecnologia aerea era nata per scopi prettamente militari, “riconvertita” solo più tardi a impieghi civili nonché ricreativi.
A riportarci bruscamente all’idea originaria è stato purtroppo il conflitto scatenato dalla Russia di Putin, in cui per la prima volta in una guerra moderna i droni rivestono un ruolo strategico fondamentale, sia come ricognitori dotati di strumenti ad altissima precisione per il controllo di una zona specifica (quelli poi di ultima generazione, dotati anche di intelligenza artificiale, possono identificare in autonomia e suggerire le aree da colpire), sia come droni d’attacco, in grado di sganciare sul bersaglio ogni tipo di ordigno, anche nucleare. Non è difficile prevedere che questa che ci tocca così da vicino sarà ricordata come “la guerra dei droni”.
Ma perché e quando si è cominciato a pensare ad “aeromobili a pilotaggio remoto”? (È la loro denominazione ufficiale). Ovvia la prima risposta: costruire dei velivoli teleguidati senza piloti avrebbe risparmiato le vite degli stessi… Rimane invece senza eco la questione morale sollevata dal numero ben più elevato di vittime civili causate da questi strumenti sofisticati di morte, come risulta sistematicamente dai tg.
Quanto alla data di nascita dei prototipi dei droni militari, è convenzionalmente fissata al 22 agosto 1849, quando durante l’assedio di Venezia da parte dell’esercito austriaco uno degli ufficiali di artiglieria del generale von Radetzky ideò un attacco alla città lanciando da una nave all’ancora dei palloni aerostatici carichi di bombe pronte ad essere sganciate da un dispositivo di cronometraggio. Fortunatamente, il capriccio dei venti riportò quasi tutti i palloni sugli assedianti. Così Venezia fu salva.
Malgrado il fallito tentativo, l’idea che ne era alla base non abortì e guidò lo sviluppo successivo della tecnologia dei droni, facendo passi da gigante nei due conflitti mondiali, nella guerra del Vietnam e fino ai giorni nostri, caratterizzati dall’incremento di sempre più perfetti velivoli telecomandati. È una storia, questa, che chi è interessato potrà approfondire da sé.
A me interessa invece segnalare un testo letterario di oltre un secolo fa, La strabiliante avventura della missione Barsac, nel quale ho trovato descritta quella che ritengo una anticipazione del drone. A firma Jules Verne, autore solo dei primi capitoli, ma totalmente riscritto dal figlio Michel e pubblicato nel 1919, 14 anni dopo la morte del padre, il romanzo narra le peripezie di una missione governativa francese in Africa, il cui obiettivo è stabilire se la colonia del Congo sia matura per essere rappresentata al Parlamento di Parigi.
È a questo punto che – invenzione di Michel – s’inserisce la vicenda della sfortunata famiglia Buxton. Mentre Lewis, uno dei figli, viene ingiustamente accusato di rapina in una banca di Londra, il fratello George, accusato di tradimento durante il servizio militare nell’Africa Occidentale, resta ucciso in combattimento. Tocca alla sorella Jeanne cercare le prove della sua innocenza recandosi sul posto, dove si unisce alla missione Barsac, che però viene intralciata da ripetuti atti di sabotaggio. Tutti i membri finiscono poi per cadere prigionieri di un despota che dalla sua città costruita ex novo nel deserto, una sorta di lager, controlla una vasta regione servendosi di indigeni schiavizzati e di un geniale scienziato, ignaro dei torbidi scopi per i quali vengono utilizzate le sue invenzioni: tra queste, una sorta di mitragliere volanti telecomandate, le “vespe”, poste a guardia e difesa della città.
Non è dato sapere a quale dei due Verne vada attribuita la paternità di queste antenate ronzanti dei droni. Del resto, lo stesso Michel in altri suoi romanzi e racconti fatti passare per opera del genitore ne imitò con qualche buon risultato stile e tematiche avveniristiche. Coincidenza curiosa, pensando alle “vespe” della Missione Barsac: il termine “drone” viene dal tedesco drohne, ossia “fuco” (il maschio dell’ape), per via del tipico ronzio prodotto dal velivolo quando si alza in volo, simile a quello di uno sciame di api.
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