Argentina, sorpresa peronista al primo turno delle presidenziali

Il ministro di un’economia in ginocchio è il più votato alle presidenziali. Succede in Argentina, dove il peronismo dimostra ancora una volta di avere sette vite. Sergio Massa è stato il più votato col 36,68% delle preferenze. Secondo (29,98%) quel Javier Milei che aveva capitalizzato la disaffezione degli argentini verso la politica vincendo le primarie al grido “li cacceremo tutti”. Entrambi si giocheranno la presidenza nel ballottaggio del 19 novembre. Resta esclusa la candidata della coalizione dell’ex presidente Macri, Patricia Bullrich
Sergio Massa, (AP Photo/Gustavo Garello)

Con le primarie di agosto Sergio Massa era dato per spacciato. Il candidato si piazzava al terzo posto, nella previsione del peggior risultato elettorale di sempre del partito fondato da Juan Domingo Perón ( solo il 27,28%).

Con il 40% degli argentini al di sotto della soglia di povertà, un’inflazione annua del 138% e il dollaro alle stelle, la logica indicava che il responsabile politico della gestione economica sarebbe stato punito dagli elettori desiderosi di un cambiamento. Come si spiega che sia avvenuto il contrario nelle elezioni primarie del 22 ottobre?

Anzitutto, mentre l’opposizione si divideva, il peronismo è tornato a serrare le fila attorno al suo candidato, un avvocato cinquantunenne figlio di un siciliano e una madre originaria del Venezia Giulia, passato, negli anni scorsi, da capo di gabinetto del governo di Cristina Fernández de Kirchner a suo oppositore interno al peronismo fino ad una nuova alleanza con l’attuale presidente Alberto Fernández.

Quando si presenta unito, il peronismo non ha troppe difficoltà nel chiamare a raccolta i sindacati, suoi alleati storici. Allo stesso tempo, Massa è stato abile a distanziarsi dal governo attuale, di cui è membro, affermando che almeno la metà dei ministri non sarebbero stati riconfermati in un nuovo esecutivo, precisando che, finora, non si era dimesso solo “per non abbandonare la barca nella tempesta”.

Intelligentemente, il presidente e il suo vice lo hanno assecondato “lasciandolo solo” in questa strategia comunicativa. Per recuperare il consenso degli elettori, tuttavia, il candidato peronista, secondo il politologo Alejandro Corbacho, docente dell’ Università Cema, intervistato dalla rete televisiva Cnn, avrebbe «usato e abusato di tutte le risorse» a sua disposizione come ministro «per ottenere voti».

Nel periodo intercorso tra le primarie e il primo turno delle presidenziali, sono stati varati provvedimenti decisivi: il rialzo del minimo imponibile dell’imposte dirette, nuovi sussidi a disoccupati, la sospensione degli aumenti delle tariffe dei trasporti (con le ferrovie in forte perdita) e dell’energia, e un meccanismo di restituzione dell’Iva sugli acquisti con carte di debito per pensionati, partite Iva, domestiche e altri beneficiari di piani sociali. Tutti interventi rivolti ad attenuare gli effetti della crisi economica per le classi sociali meno abbienti.

Misure popolari che, secondo alcuni analisti, non contribuiscono al miglioramento dei conti pubblici dello Stato con la conseguenza di rinviare i problemi a dopo le elezioni.

Si muove in tal senso la rinegoziazione del debito di 44.000 milioni di dollari con il Fondo Monetario Internazionale. Si spera, perciò, nei nuovi flussi di capitale diretti alla terza economia latinoamericana grazie all’incremento della produzione di soia dopo precedenti raccolte colpite dalla siccità nonché agli effetti del nuovo gasdotto Néstor Kirchner, sul cospicuo risparmio nella spesa energetica e all’aumento dell’esportazione del litio.

Tali provvedimenti si sono associati ad una campagna comunicativa pubblica che ha assunto toni elettorali rivolti anche all’interno dell’amministrazione statale.  Il ministro Massa ha fatto balenare le conseguenze negative delle scelte dei suoi avversari politici in termini di tagli alle spese pubbliche e all’assistenza sociale secondo i programmi di “meno stato e più mercato”. Ben 18,7 milioni di persone dipendono economicamente dagli aiuti pubblici, tra pensionati, impiegati pubblici e beneficiari di piani sociali. Sono evidenti gli effetti della crisi per un numero crescente di famiglie che si impoverisce davanti alla crescita di  aziende che hanno grandi difficoltà nel pagare le forniture internazionali in dollari, il cui prezzo unitario ha superato i 1.100 pesos.

Allo stesso tempo, “Milei è la grande incognita”, sintetizza Corbacho. I toni aggressivi e le promesse improbabili come quello di dollarizzare l’economia, chiudere la Banca Centrale e trasformare l’educazione in una scelta facoltativa delle famiglie, hanno attirato un numero sorprendente di elettori, che tuttavia non sono aumentati tra una votazione e l’altra.

Le intenzioni di troncare i rapporti con la Cina e il Brasile (i principali soci commerciali dell’Argentina) e le furibonde critiche al papa, in una nazione prevalententemente cattolica, pare che non gli abbiano prodotto consensi. Affermazioni tipo “lo Stato deve farsi carico solamente della sicurezza e della giustizia” non hanno tranquillizzato l’elettorato.

Il candidato antisistema ha pagato anche la debolezza della struttura di un partito di recente costituzione.

Non appena chiuse le urne, Massa e Milei hanno aperto i giochi in vista della battaglia decisiva, dirigendosi apertamente ai votanti della sconfitta Bullrich e della coalizione che rappresenta, quella dell’ex presidente Macri.

Il discorso intransigente di Milei si è giocoforza ammorbidito: «la campagna elettorale ha fatto sì che molti tra coloro che vogliono il cambiamento si affrontassero tra di loro. Ora sono disposto a fare tabula rasa dei contrasti e polemiche con l’obiettivo di finirla con il kirchnerismo», che ha definito «una organizzazione criminale».

«Vogliamo eliminare i privilegi, non i diritti», ha affermato in chiara risposta alle accuse di Massa.

Il candidato peronista ha risposto dicendo che convocherà un “governo di unità nazionale” per far fronte alla crisi e per chiudere il “crepa”, (“la grieta”) aperta da anni di polarizzazione tra kirchnerismo e antikirchnerismo.  una spaccatura che ha dichiarato “morta” in queste elezioni.

Nel suo discorso ha parlato agli elettori della coalizione sconfitta, facendo leva su alcuni punti condivisi come la difesa delle istituzioni e il contrasto del crimine.

La sua formazione politica centrista, le due positive esperienze da sindaco in un comune dell’hinterland di Buenos Aires, il suo talento politico e il pragmatismo che ha dimostrato alimentano la speranza di una maggiore possibilità di dialogo.

Si aprono, quindi, cinque settimane nelle quali i contendenti cercheranno di convincere anche l’elettorato che non si identifica con le loro proposte e di negoziare con le forze politiche fuori dalla contesa.

Intanto, nel quarantesimo del ritorno alla democrazia dopo gli anni della dittatura militare, il voto ha consolidato la sensazione che, come ha espresso alla BBC Orlando D’Adamo, esperto in opinione pubblica e psicologia politica, «le divergenze le risolviamo votando». «L’idea che la democrazia è il sistema col quale scegliamo che strada prendere è assodata», anche se «non lo è quella che la democrazia sia il sistema col quale risolviamo effettivamente i nostri problemi».

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