L’India e le caste oggi, il caso del Bihar
Una gran parte del mondo stenta a credere che una società possa essere divisa in gruppi sociali chiamati “caste”, con addirittura un addentellato definito “fuoricasta”, o dalit, come viene chiamato ormai da alcuni decenni il gruppo di coloro che non hanno il diritto di appartenere al sistema castale, ma che, in virtù di esso, sono considerati inferiori a tutti gli altri gruppi sociali.
In occidente si fatica a comprendere come il Paese più popoloso del mondo (oltre un miliardo e quattrocento milioni di persone), che è ormai una potenza in economia, finanza e, pure, in ambito militare, possa essere ancora caratterizzato da una struttura sociale di tipo castale. Non è questa la sede per un dibattito sulla materia, molto complessa, ma anche molto più logica di quanto si possa pensare. Fra l’altro, basterebbe riflettere sul fatto che non è poi trascorso così tanto tempo da quando è cessata la schiavitù negli Stati Uniti d’America e che nei Paesi Europei ci sono anche oggi gruppi sociali che vivono in condizioni abiette.
L’occasione di questo articolo sulla questione delle caste intende, piuttosto, riferirsi ai risultati di una recente indagine svoltasi nello stato del Bihar, nella regione centro-orientale del grande Paese asiatico. Si tratta di uno degli stati più popolosi dell’Unione Indiana – più di 110 milioni di abitanti – ed anche di uno dei più poveri – si calcola che circa il 34% della popolazione del Bihar si trovi sotto il livello minimo di povertà.
Lo stato è popolato, in larga parte, da tribù di adivasi, le popolazioni originarie del sub-continente indiano, comunemente chiamati “tribals” (tribali). L’iniziativa locale di realizzare un’indagine sulla composizione castale della popolazione è stata dettata dal fatto che, secondo l’amministrazione locale, le quote riservate – come richiede la Costituzione Indiana – per posti lavoro nel governo e per lo studio nelle università ed altri settori non corrispondono oggi alle percentuali reali delle fasce della popolazione (quelle delle classi e caste disagiate e inferiori) a cui spetterebbero.
In effetti, l’ultimo censimento castale fu realizzato nel 1931, in piena epoca coloniale, e, dopo l’indipendenza, non è più stato possibile mettere questa voce nel censimento che si svolge in tutto il Paese all’inizio di ogni decennio. L’iniziativa dello stato del Bihar è stata fortemente osteggiata, prima, e criticata, poi, dall’attuale governo centrale che, nella sua impostazione indù fondamentalista, fonda molto del suo potere proprio sulle varie lobby castali a diversi livelli, sia sociali che politici, ma anche geografici.
Ebbene, i risultati emersi dallo studio avvenuto in Bihar si sono rivelati davvero significativi. Infatti, si è evidenziata immediatamente l’alta percentuale (36%) di quelle che sono definite classi estremamente arretrate (Ebc), che comprendono dalit e alcune tribù locali; altre classi arretrate (Obc), che comprendono soprattutto gli adivasi, raggiungono il 27% della popolazione totale, oltre a caste inferiori (quasi il 20%) e alcuni altri gruppi tribali (il 2%).
Questo significa che solo il 15% circa della popolazione di questa parte dell’India appartiene a caste superiori o medie. L’incongruenza del sistema che sembrerebbe favorire le caste più emarginate sta nel fatto che solo il 27% (contro l’85% di coloro che ne avrebbero diritto) dei posti negli uffici del governo e nelle università è riservato a chi è considerato appartenente a gruppi arretrati o inferiori socialmente. I risultati hanno, ovviamente, rappresentato un notevole contraccolpo per il Bjp (il partito del Primo Ministro Modi), saldamente al potere, ma che, dietro all’immagine di un’India-super potenza, tende a perpetuare meccanismi ancestrali, che rimangono invisibili agli osservatori meno attenti.
Il risultato di questo studio rischia di aprire una falla nella gestione del potere locale del Bjp, con possibili ricadute a livello nazionale. Infatti, se anche a livello nazionale si effettuasse un censimento delle caste, il risultato potrebbe non essere molto diverso da quanto emerso dall’indagine del Bihar. Da qui nasce, poi, una pressione a livello pan-indiano per aumentare i posti-lavoro e studio riservati a classi e caste arretrate, in proporzione alla loro quota nella popolazione. Se questo avvenisse, la riformulazione degli equilibri sociali potrebbe creare un buco profondo nelle quote riservate alle caste e classi che costituiscono la banca-voti a cui attinge il primo ministro Narendra Modi. Per questo il censimento è stato definito dal partito al potere come un tentativo di dividere e polarizzare il Paese. Tuttavia, il governo farebbe bene a porre un limite realistico alla riserva per proteggere coloro che non rientrano nell’ambito delle caste.
Resta da vedere se altri stati avranno il coraggio di realizzare la stessa indagine a livello locale. Ovviamente non sarà semplice, visto il potere incontrastato di Modi a livello nazionale, ma se alcuni degli stati più popolati e più poveri avessero realmente la determinazione di realizzare il censimento, potrebbe aprirsi un dibattito capace di mettere in crisi un sistema millenario.