Addio a sir Bobby, l’uomo che ha vissuto due volte

Il mondo dello sport dice addio a sir Bobby Charlton, leggenda del calcio inglese e campione del mondo che era sopravvissuto al disastro aereo del 1958
(AP Photo/Frank Augstein)

Si è spento, all’età di 86 anni, sir Robert “Bobby” Charlton, bandiera del Manchester United, campione del mondo e pallone d’oro nel 1966, leggenda del calcio inglese e considerato come uno dei più forti calciatori della storia del calcio (occupa la decima posizione nella classifica dei migliori calciatori del XX secolo stilata dall’International Federation of Football History & Statistics).

Centrocampista offensivo, centrocampista centrale e ala sinistra dal talento straordinario, ambidestro dal tiro potente e preciso, dotato di un eccellente colpo di testa e, da vero gentleman, campione di fairplay – nessuna espulsione in 864 presenze totali tra Manchester United e nazionale inglese dal 1956 al 1973 – Robert Charlton, figlio di un minatore e nipote (dal ramo materno) di 5 calciatori professionisti, inizia la sua carriera calcistica a soli 15 anni.
Era il 1953 quando, durante una partita con la rappresentativa delle scuole dell’Est Northumberland, Bobby riesce a farsi notare dal capo scout del Manchester United Joe Armstrong che, impressionato dalle sue doti, gli fa firmare il suo primo contratto con i Red Devils, facendolo diventare uno dei Busby Babes – un gruppo di calciatori giovanissimi e attaccatissimi alla maglia del Manchester United, scoperti e allenati da Jimmy Murphy, che li fece passare dalla sezione giovanile del club alla prima squadra, sotto la guida dell’allenatore Matt Busby.

Ancora giovanissimo e con una carriera insicura, la madre convince Bobby ad iniziare anche un apprendistato come ingegnere elettrico e, durante i primi anni, decide anche di prestare servizio militare con il Royal Army Ordnance Corps a Shrewsbury, in modo da poter giocare con il Manchester durante i fine settimana. Nonostante gli altri impegni, riesce a farsi strada molto velocemente, segnando regolarmente nelle giovanili e nelle riserve prima di debuttare in prima squadra contro il Charlton Athletic nell’ottobre del 1956. In quell’occasione segna due reti nel 4-2 finale e nella stessa stagione segna 12 gol in 14 gare giocate contribuendo alla vittoria del Manchester United in Premier League. Il grandioso inizio di carriera viene però turbato dal disastro aereo di Monaco del 6 febbraio 1958, quando, dopo una partita di Coppa dei Campioni, il Manchester United, aveva lasciato Belgrado. Ma, dopo uno scalo per il rifornimento a Monaco, l’aereo non è mai riuscito a ripartire e si è schiantato. L’incidente aereo che ha causato la morte di 23 dei 44 passeggeri a bordo, tra cui otto calciatori, tre membri dello staff, otto giornalisti e altri passeggeri, ha lasciato delle profonde ferite anche ai sopravvissuti che, da quel giorno, non furono più gli stessi.

La seconda vita dopo l’incidente

«Non passa giorno in cui non ricordi cosa è successo e le persone che se ne sono andate – queste le sue parole a distanza di molti anni -. Il Manchester United sarebbe stato una delle squadre più grandi in Europa. Quella tragedia ha cambiato tutto». Una tragedia terribile, forse evitabile, che ricorda un po’ quella del grande Torino a Superga, appena 9 anni prima. Una tragedia che non può lasciare indifferenti, specie chi l’ha vissuta in prima persona e chi sa di essere vivo per caso, per essersi trovato “seduto nel posto giusto sull’aereo” dopo uno scambio di posto con dei compagni poi deceduti. Alla ferita per il dolore della perdita dei compagni si aggiunge, quindi, anche il senso di colpa e il sentimento di essere arrivato in alto solo “grazie” alla morte di alcuni dei suoi compagni. «Probabilmente sono entrato in prima squadra e in nazionale prima di quanto avrei fatto se non fosse stato per l’incidente aereo» aveva dichiarato Charlton e probabilmente era vero. Ma, sta di fatto che, dopo l’ingresso in prima squadra, ha fatto di tutto per dimostrare e dimostrarsi di essere nel posto giusto. Ed è da questo terribile incidente, dalla tragedia che ha reso Bobby un uomo più duro, freddo e disincantato che inizia la seconda vita di Bobby Charlton.

Superato il trauma e le ferite della sciagura di Monaco di Baviera, inizia per il giocatore inglese un lungo percorso che lo porterà al titolo di campione del mondo nel 1966, al pallone d’oro nello stesso anno, alla conquista della Coppa dei Campioni nel 1968 e al trionfo in tre campionati e in una FA Cup. Una storia a dir poco straordinaria quella con i Red Devils e con la nazionale. Dei numeri da signore del calcio: 758 presenze e 249 gol in 17 anni con lo United e 106 maglie e 49 reti in 12 anni con la nazionale dei Three Lions.

Dopo il ritiro, il post carriera è stato sicuramente meno esplosivo con delle esperienze da allenatore con Preston e Wigan e poi il ritorno al Manchester United che ha seguito nel suo posto in tribuna all’Old Trafford fino all’insorgere della sua malattia, nel 2020. E, se quella dopo la tragedia di Monaco può essere definita la seconda vita della stella del calcio inglese, quella dopo la sua malattia, la demenza, può, forse, essere definita la sua terza vita. Una vita breve che gli ha fatto dimenticare il passato, una vita che gli ha forse dato la fortuna di dimenticare la tragedia che gli ha cambiato l’esistenza, ma che non gli ha permesso di ricordare nemmeno quanto era stato grande. Ma se Bobby non poteva ricordarlo, quel che è certo è che il mondo del calcio non poteva dimenticare quella che è stata una leggenda, un campione nello sport e nella vita: a Dio, sir Bobby.

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