Simone, la donna dell’impossibile

Dopo due anni di stop, l’immensa Simone Biles ritorna e aggiunge una nuova pagina di storia alla ginnastica: è sua l’esecuzione del salto impossibile, ora Biles II.
Simone Biles degli Stati Uniti festeggia la vittoria della medaglia d'oro durante la finale a tutto tondo femminile ai Campionati mondiali di ginnastica artistica di Anversa, Belgio, venerdì 6 ottobre 2023. (AP Photo/Geert vanden Wijngaert)

La nascita di una leggenda
«Non sono il prossimo Usain Bolt o Michael Phelps, sono la prima Simone Biles». Queste le parole di Simone Biles a Rio 2016 quando, appena diciannovenne e alla sua prima esperienza olimpica, partiva già da favorita e aveva già riscritto la storia della ginnastica artistica. E Simone non si sbagliava, lei non stava seguendo l’esempio di nessuno, lei stava diventando l’esempio da seguire e lo stava facendo a modo suo.  

Nata in Ohio nel 1997, inizia a praticare ginnastica a sei anni, dopo averla provata durante una gita all’asilo e non passa molto tempo prima che il suo talento si riveli. Già da junior, nel 2011, iniziano i primi successi che si concretizzano l’anno dopo nella sua vittoria nazionale al volteggio. Passata nella categoria senior, non perde tempo e vince una medaglia per ogni specialità – di cui due ori – ai mondiali di Anversa 2013, diventando l’atleta più medagliata della competizione. La scia di successi continua e iniziano anche i suoi record: nel 2013 diventa la prima afroamericana a vincere un all-around mondiale; nel 2015, dopo aver vinto 10 medaglie – di cui 8 ori- tra il mondiale di Nanning e quello di Glasgow, diventa la prima e unica ginnasta donna della storia ad aver vinto 3 titoli mondiali all-around consecutivi.

Arrivano poi le Olimpiadi di Rio 2016 e anche lì, “la prima Simone Biles” non delude: la Biles torna a casa con ben quattro medaglie d’oro e un bronzo alla trave diventando così la prima ginnasta statunitense ad aver vinto quattro titoli in una singola olimpiade. Inoltre, con 19 medaglie vinte tra Mondiali e Olimpiadi supera anche il record di Shannon Miller, diventando la ginnasta più decorata d’America. Non può, quindi, che chiudere i Giochi come portabandiera della nazionale statunitense alla cerimonia di chiusura di Rio. 

Con i mondiali di Doha del 2018 e quelli di Stoccarda del 2019, diventa l’unica ginnasta a vincere ben cinque titoli mondiali all-around e con le sue 24 medaglie ai Campionati del mondo diventa il ginnasta – uomo o donna – più medagliato di sempre.  

Ma, nonostante i successi e i record che si susseguono, la ginnasta deve quotidianamente fare i conti con quelli che definirà poi suoi “demoni” e che prendono il sopravvento a Tokyo 2020 quando, dopo l’argento di squadra e il bronzo alla trave, decide di ritirarsi dalle competizioni.  

Simone Biles, statunitense, gareggia alle sbarre irregolari durante la finale a tutto tondo femminile ai Campionati mondiali di ginnastica artistica di Anversa, Belgio, venerdì 6 ottobre 2023. (AP Photo/Virginia Mayo)

Dai demoni alla rinascita
Un vero campione non è quello che non cade mai, ma è quello che cade e trova poi il coraggio di alzarsi e sì, è fondamentale ripeterlo sempre e ricordarlo con l’esempio di Simone Biles che è caduta in basso, che più in basso non si può, ma ha trovato il coraggio di rialzarsi e la sua rinascita è stata più bella che mai.

«So che questi sono i Giochi, volevo farli, ma in realtà sto partecipando per altri, più che per me stessa. Dobbiamo proteggere le nostre menti e i nostri corpi, e non solo uscire e fare ciò che il mondo vuole che facciamo» queste erano state le parole della Biles per annunciare il suo ritiro dai Giochi olimpici e in questo momento, quello in cui Simone ha toccato il fondo, è riuscita a lasciarci un insegnamento che va ben oltre quello che sport ci mostra: non esiste salute senza salute mentale e certi “demoni” non possono essere sotterrati, ma vanno combattuti. Perché sì, la plurimedagliata ginnasta parla di demoni e di uno in particolare, che ha un nome e cognome. Parliamo di Larry Nassar, l’osteopata che dal 1996 al 2017 ha molestato e abusato sessualmente di oltre 150 atlete, tra cui proprio la Biles.

Biles che, insieme a tante altre, ha trovato il coraggio non solo di denunciare il tecnico, ma anche di combattere contro chi aveva permesso che tutto ciò avvenisse e aveva protetto l’abusatore: la federazione e l’FBI. E non c’è da stupirsi se, durante questa lotta, durante la quale voleva solo «dormire perché era la cosa più vicina alla morte», non abbia avuto la forza di gareggiare, di allenarsi in quei luoghi in cui tutto le ricordava gli abusi subiti da ragazzina. E non c’è da stupirsi nemmeno del suo mancato rientro dopo la sentenza con la quale Nassar viene condannato 175 anni di prigione. «È un mio onore e privilegio condannarla. Ho appena firmato la sua condanna a morte. Il suo prossimo tribunale sarà quello di Dio», queste erano state le parole della giudice Rosemarie Aquilina nel pronunciare la sentenza.  

L’immensa Simone Biles non aveva bisogno solo della giustizia per ritornare, come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, aveva bisogno di ricostruire sé stessa e, se l’attesa è stata lunga, non possiamo che dire che, però, ne è valsa la pena. Simone Biles ritorna a gareggiare nel 2023 e ritorna ad Anversa, lì dove tutto era iniziato dieci anni fa e dove decidere di ricordare a tutto il mondo che è tornata e che, adesso, può fare l’impossibile. La ginnasta esordisce, infatti, proprio con il “salto impossibile”, lo Yurchenko doppio carpio al volteggio, mai eseguito da nessun’altra atleta in una gara ufficiale e che, probabilmente, non verrà mai più eseguito da nessun’altra atleta. «Potrebbe essere l’unica volta nella loro vita che le persone hanno visto una donna eseguire questo salto», queste le parole di Laurent Laudi, l’allenatore di Simone Biles, al termine del salto che ora, come anche altri quattro esercizi prima, porta il nome di Simone.  

Simone Biles è tornata, e lo ha fatto con una scia di record talmente lunga che sarebbe difficile menzionarla tutta, è tornata facendo l’impossibile ma, cosa più importante, è tornata dopo essersi fermata per ricordare – e ricordarsi – di essere umana, ed è per questo che dovremmo solo ringraziarla. Grazie Simone, grazie donna dell’impossibile.

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