25 aprile 2013

Per molti adolescenti, forse, il 25 aprile, come il 1° maggio e il 2 giugno, sono solo giorni di festa dalla scuola. Non ci si chiede perché, spesso, si spera che siano vicini al sabato, in modo da allungare la vacanza. Accade lo stesso, magari, per tanti giovani (e meno giovani) che lavorano (a stipendio fisso, non a contratto o a provvigione) e che progettano con largo anticipo le ferie, consultando le previsioni meteo e la disponibilità dei bed&breakfast con 

molta cura.

Parole come "liberazione dall’occupazione tedesca", "resistenza al fascismo" e "lotta partigiana" sono annoverate tra quelle retoriche, fuori moda, desuete; spesso sinonimi di una inquietante: inutili. 

I più fortunati hanno nonni e conoscenti anziani che provano a testimoniare la loro memoria. 

Chi vive nei piccoli comuni si dà appuntamento in piazza, spesso unica e destinata al ricordo e alla mondanità, ad accogliere la banda, le corone d’alloro e il ritrovo abituale degli abitanti. 

Chi vive in città, nelle grandi città, spesso le abbandona, riconcorrendo briciole di vacanza rubate alla sera prima o al mattino seguente. Obiettivo: allontanarsi dal caos, indipendentemente dalla meta. Chi resta in città, piccola o grande, non segue, magari, neanche le manifestazioni dedicate a queste giornate, per pigrizia, disinteresse, ineducazione.

Serpeggia, strisciante e pervasivo, un agghiacciante sentimento "anti" qualsiasi cosa: antipolitica, anti-storia, anti-presente. Lo stiamo vivendo da tempo, lo respiriamo da giorni, dal Friuli alla Sicilia, ci è entrato nelle orecchie oltre che nei polmoni in queste ultime settimane caratterizzate dai "senza": senza maggioranza al Governo, senza Presidente della Repubblica, senza accordo tra le parti, senza dialogo e senza fine.

E’ un 25 aprile diverso, forse: da alcuni giorni abbiamo il Presidente della Repubblica, per la prima volta lo conosciamo già, anche molto bene, dato che è al suo secondo mandato. 

Celebrerà l’anniversario della Liberazione avendolo vissuto, molte decadi fa, da protagonista  della lotta antifascista nel nostro Paese. Ha un sapore diverso per lui e, sarebbe bello, per tanti di noi.

Da qualche ora abbiamo un Presidente del Consiglio, che celebrerà questa giornata al lavoro, forse, come tanti, certamente. Ma con la responsabilità di sbrigarsi a tappare buchi, se possibile, che sono diventati voragini, abissi, dolore e anche morte. Non si riuscirà, purtroppo, a chiudere queste ultime ferite, che fanno e faranno male per un tempo immemorabile.

Fra qualche giorno, magari, ci si augura, avremo un nuovo Governo. Chissà se aiuterà a lenire le ferite e ad allontanare parte di quel sentimento "anti" che annichilisce e toglie la speranza. 

Eppure, come si è scritto, detto e ascoltato in passato e ancora oggi, se siamo un Paese, una Repubblica e con questa Costituzione, è perché tanti italiani hanno creduto, lottato, sperato prima di noi. Molti hanno dato la vita proprio per arrivare a queste giornate. 

Ne facciamo memoria per riportarle al cuore, secondo il significato originario di "ricordare". 

Si è scritto e detto spesso che senza memoria un Paese non si può definire tale. Neanche una persona. Siamo, proviamo a essere persone perché, forse, qualcuno ci ha insegnato, con la vita, a fare la nostra parte. Non solo per il presente, ma per l’avvenire. Un’altra parola spesso dimenticata, che si unisce a quelle già citate. Ma il futuro potrà arrivare fino a noi (ad venire) se lo cerchiamo, lo sogniamo, lo desideriamo. Lo costruiamo: ciascuno contribuisce, non solo chi ricopre incarichi di responsabilità (o di irresponsabilità). 

L’avvenire, quindi, come il presente, dipendono da ognuno di noi. 
 
 
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