Effetto Francesco, resistere alla guerra

Dai “Fari di pace” che approdano al porto di Bari alla proposta a Palermo del ministero della Pace fino all’esposto a Ghedi sulla presenza delle bombe nucleari in Italia e alla difesa pubblica della legge 185/90 sull’export di armi. I tanti insperati segni dei tempi nella società e nella chiesa italiana
Effetto Francesco. Fari di pace a Napoli

Ad inizio ottobre l’esodo forzato di 100 mila armeni dal Nagorno Karabakh sotto la pressione dell’armatissimo esercito azero è una notizia che scompare dai palinsesti della nostra informazione mainstream. Eppure dovrebbero preoccupare gli effetti a catena dello scenario di guerra che sta avvenendo in questa regione dove il popolo armeno è presente da millenni.

La nostra dipendenza dalle forniture di gas dall’Azerbaijan e la vendita di armi italiane alle sue truppe non spiegano, tuttavia, da sole, l’anomalia di un silenzio imbarazzante di fronte ad una tragedia in atto. Pesa molto di più, probabilmente, la sensazione diffusa di impotenza dell’opinione pubblica davanti alle cause dei conflitti armati decisi su tavoli inaccessibili a chi non ha potere.

Sorprende, perciò, la caparbietà e visionarietà di cui è capace la Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) nel proporre l’istituzione di un ministero della Pace inteso come scelta strategica politica del nostro Paese. Insomma non una versione su scala nazionale degli assessorati senza deleghe e portafoglio a cui delegare la fascia tricolore per presenziare a qualche manifestazione.

La campagna portata avanti con forte dedizione da Laila Simoncelli, avvocata esperta in diritti umani, in continuità con l’intuizione di don Oreste Bensi, fondatore della Apg23, viene perciò proposta in sedi istituzionali prestigiose secondo la prassi fruttuosa della diplomazia popolare sperimentata da molte amministrazioni locali.

Il 2 ottobre 2023 è stato il Palazzo dei Normanni a Palermo ad ospitare l’iniziativa di un dibattito teso a fare dell’Isola al centro del Mediterraneo un baluardo della politica di pace. Il Palazzo in questione, patrimonio dell’Unesco, mantiene un tratto di regalità, cioè di piena autorità politica sul piano internazionale, che va oltre il fatto di essere la sede dell’Assemblea regionale che ha, infatti, il titolo di “Parlamento”.

Verrebbe da considerare come folle, nell’isola che ospita la base militare di Sigonella e la stazione strategica del Muos, l’idea di un ministero della Pace che, invece, riceve il sostegno di un numero significativo di studiosi e di molte realtà associative nazionali, ma soprattutto proviene da un’associazione credibile perché è presente, con l’Operazione Colomba, nei luoghi di conflitto nel mondo tramite l’attività di interposizione a difesa dei più deboli. Avviene così accanto al “martoriato popolo ucraino”, come dice il papa, sottoposto a 18 mesi di una guerra che appare senza fine.

La stessa impensabile ipotesi di un conflitto armato nel continente europeo è, infatti, diventata una realtà inquietante che si cerca di rimuovere dal discorso pubblico perché apre realisticamente al possibile utilizzo dell’arma nucleare, più volte minacciata in questi mesi. Esperti di strategia militare come Germano Dottori ne ipotizzano anche l’uso dimostrativo nello spazio aereo, senza tralasciare, comunque, gli effetti devastanti di lungo termine sulla popolazione e le filiere alimentari.

Lo spettro del fungo atomico sembra paradossalmente rafforzare le teorie sulla protezione assicurata dalla deterrenza e cioè dal possesso delle armi nucleari come garanzia di stallo. Una tesi che omette, tuttavia, la presenza, ormai, di una molteplicità di detentori dell’arma letale e la diffusione di una convinzione luciferina sulla possibilità tecnologica di infliggere il primo colpo letale senza pagarne le conseguenze per annientamento delle difese nemiche.

L’unica strada razionale e ragionevole, anche se difficile, resta la messa al bando delle armi nucleari in un’azione concorde dell’umanità intera come previsto dal trattato Onu del 2017 che l’Italia non ha voluto neanche discutere per osservanza alla dottrina della Nato.

La Santa Sede, invece, sostiene convintamente il trattato definendo immorale non solo l’uso, ma anche il possesso delle armi nucleari.

Oltre all’immoralità, le bombe nucleari sono da perseguire penalmente in base al diritto vigente e ai trattati internazionali. Se ne dice convinto un gruppo di cittadini appartenenti a diverse associazioni pacifiste che il 2 ottobre, davanti la base militare di Ghedi (BS), ha illustrato le ragioni di un esposto denuncia presentato davanti al Tribunale di Roma a partire dalla presenza conclamata di ordigni nucleari sul suolo italiano.

Come è riportato in tale documento, redatto da  una squadra di avvocati, nel nostro Pase «risulterebbero dislocate ben centoventi basi USA o Nato. Tra queste si individuano centri logistici, di addestramento e aeroporti militari, ma anche depositi, impianti di comunicazione e poligoni. Le principali basi si troverebbero ad Aviano (PN), Camp Ederle (VI), Gaeta (LT), Ghedi (BS), Napoli, Poggio Renatico (FE), Sigonella (CT) e Solbiate Olona (VA)».

E proprio «a Ghedi e ad Aviano risulterebbero conservati gli ordigni nucleari statunitensi» in contrasto, secondo i denuncianti, con il Trattato internazionale di non proliferazione nucleare che vincola l’Italia come Paese aderente. Il possesso delle armi nucleari sarebbe in contrasto inoltre, secondo i legali, con la legge 185 del 1990.

La denuncia rivolta alla Procura della Repubblica di Roma chiede «ai magistrati inquirenti di indagare innanzitutto per accertare la presenza di ordigni nucleari sul territorio nazionale e, di conseguenza, le eventuali responsabilità, anche sotto il profilo penale, dell’importazione e della detenzione».

È significativo, in tal senso, che tra i promotori dell’esposto vi sia Elio Pagani, uno dei lavoratori che, con la loro obiezione alla produzione di armi destinate ai Paesi in guerra, hanno dato una spinta decisiva all’approvazione della legge 185 del 1990 che buona parte del complesso delle industrie della Difesa e dei vertici militari hanno visto come un ostacolo alla competitività di un settore produttivo dove l’Italia compare tra i primi 10 stati esportatori a livello mondiale.

Introducendo la presentazione della denuncia, Pagani ha sottolineato che questa azione legale è maturata dopo un lungo periodo di approfondimento iniziato nel 2020 per arrivare alla consapevolezza di stare davanti ad una “notizia criminis” e che quindi «da cittadini responsabili e amanti dell’umanità tutta, della giustizia, della dignità di ogni creatura, non potevamo voltarci dall’altra parte».

Tra i 22 denuncianti che chiamano in gioco la responsabilità dei governi di diverso colore che si sono alternati in Italia, non poteva mancare Alex Zanotelli, il missionario comboniano che proprio per aver svelato il traffico di armi italiane verso Paesi in guerra dovette lasciare negli  anni 90 la direzione del periodico mensile Nigrizia, decidendo poi di andare in una delle periferie dimenticate del continente africano da dove la sua denuncia ha, di fatto, ricevuto maggiore potenza e ascolto.

Ad inizio settembre 2023 il missionario ha pubblicamente chiesto, in un articolo pubblicato su Il Manifesto, ad associazioni e movimenti cristiani di uscire dal silenzio davanti agli attacchi sempre più decisi contro la legge 185 del 1990 che pone limiti all’export di armi verso i Paesi in guerra. Un fatto riportato più volte su Città Nuova e reso più drammatico dalla tragica vicenda della guerra in Nagorno Karabakh.

Alcune realtà (Acli, Apg23, PaxChristi, Focolari Italia e la commissione globalizzazione della Federazione delle Chiese evangeliche) hanno, perciò, deciso di rispondere pubblicamente a tale invito convocando, con la presenza dello stesso Zanotelli, una conferenza nella sala stampa della Camera dei deputati il 4 ottobre, giorno di san Francesco, per ribadire, con il sostegno di Maurizio Simoncelli di Archivio Disarmo, il legame tra la legge 185/90 e i valori della Costituzione.

Nella conferenza stampa è previsto anche l’intervento di Alessandra Zanelli, del comitato riconversione Rwm impegnato a fermare le bombe dirette in Arabia Saudita per sostenere un’economia libera dalla guerra (Warfree), e di Pietro Strada di Apg23 che esprime il comitato di “Genova città aperta alla pace” nato per sostenere  i lavoratori portuali che hanno rifiutato di caricare le armi sulle navi destinate ai luoghi di guerra.

Da quel gesto diobiezione  certamente non indolore per i portuali del Calp è nata anche l’iniziativa dei “Fari di pace” che collega società civile e lavoratori impegnati ad affermare la pratica dei porti chiusi alle armi e aperti a chi, come i migranti, fuggono dalla guerra.

Il percorso è iniziato a Genova il 2 aprile 2022 con il coinvolgimento di molte associazioni, della pastorale sociale nazionale, della chiesa locale e l’osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei  (Weapon watch). Dopo la tappa del 19 novembre 2022 che si è tenuta a Napoli, “Fari di pace” toccherà il porto di Bari il 5 ottobre 2023 dove con l’impegno della pastorale sociale, dei cappellani portuali e di parte del sindacato verrà presentato un osservatorio sui traffici di armi a Bari.

Segni dei tempi inconcepibili senza il “fattore Francesco” che sta incidendo profondamente nella Chiesa e nella società del nostro Paese.

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