The Palace, il bel sapore della satira
Alla Mostra di Venezia ai critici non è piaciuto l’ultimo film di Roman Polanski, 90 anni portati con gloria. Non sarà che la satira gentilmente corrosiva del regista non colpisca al cuore chi li canta invece i miti della bellezza nonostante tutto, dei soldi, dei matrimoni interessati, della vanità che arriva a far diventare ricco un imbroglione (Mickey Rourke), dell’ex regista imbolsito che vuole fare il giovane, e così via? Irriverente e grottesco, controcorrente questo Polanski che irride in fondo l’illusione dei vecchi di voler rimanere per sempre e dei giovani di vivere solo di apparenza.
La scena si svolge nell’ultimo Capodanno che apre il fatidico anno 2000 in cui il mondo finirà, come tanti pensano e temono. Perciò nell’hotel fra le montagne nevose della Svizzera è in arrivo una cordata di gente che conta, una sfilata di bruttezze rifatte nell’anima e nel corpo che il regista si crogiola nel mostrarcele nel loro lato surreale e ridicolo.
Ecco la marchesa francese Fanny Ardant innamorata del suo cagnolino e del primo bell’idraulico polacco che arriva in camera (sulle note del brindisi della Traviata), l’eccentrico imbroglione dalla parrucca bionda Rourke che convince un povero bancario ad entrare nei suoi traffici loschi, le ex bellone rifatte e ridotte a mostri inconsapevoli (sarà una allusione perfida a Sophia Loren?) da un astuto chirurgo, poi il miliardario vecchissimo che ha sposato una grassa bellezza a cui regala un pinguino, la famiglia della Cekia alla ricerca del padre scomparso, la mafia russa che assiste alla caduta di Eltsin e alla ascesa – per tre mesi solo! ‒ di Putin che può scombinare i traffici… Che umanità su cui ridere!
La vanità attuale: soldi, animali, eredità, successo, bellezza, una sfilata di anime decrepite e inutili su cui sfoderare la satira con eleganza divertita e amara. Nessuno si salva, nemmeno nella scena grottesca del miliardario morto fatto passare per vivo per non perdere l’eredità. Perché la morte è nell’ombra e arriva, inattesa. E poi, resta la discarica della festa e un finale a sorpresa.
Non fa sconti Polanski nella libertà di dire la verità a 90 anni, con una bella fotografia, scene di umorismo graffiante, ritmo frenetico ma giusto di un film corale, musica indovinata.
Polanski graffia come un gatto che si strofina le unghie volentieri, ma non è cattivo, solo punge. Come diceva il vecchio poeta satirico Orazio: castiga i cattivi costumi (cioè le stupidità umane), prendendoli in giro. Con acutezza d’ingegno. C’è riuscito. Da vedere, con leggerezza.
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