Brasile: una vittoria per gli indigeni
Con commozione e giubilo i popoli indigeni brasiliani hanno accolto una decisione della magistratura che apre la strada al mantenimento e al recupero dei loro territori ancestrali. Il 21 settembre, in seguito ad una causa avanzata dallo Stato di Santa Catarina, 9 su 11 giudici della Corte Suprema hanno stabilito che il diritto dei nativi ad abitare i loro territori è “costituzionale”, “originario” e “permanente”.
La Corte ha così bocciato la tesi nota come Marco temporal, secondo la quale tale diritto sarebbe tale solo per le comunità che occupavano le loro terre al momento della promulgazione della Costituzione del 1988.
Il criterio è difeso dal settore agroindustriale a partire da una sentenza del 2009 della stessa Corte Suprema, che aveva dato ragione a una comunità indigena proprio perché occupava l’area da prima di quella data, interpretando che in casi analoghi, chi fosse tornato dopo quella data non poteva più reclamare la proprietà.
Ora la Corte Suprema attuale ha sancito che i diritti costituzionali sono preesistenti alla Magna Charta, stabilendo così un precedente a livello federale.
La decisione potrebbe essere decisiva per almeno 30 cause in corso di demarcazione di territori indigeni, minacciati dall’espansione delle coltivazioni intensive. Nel corso dei secoli, infatti, migliaia di nativi sono stati sloggiati in modo violento e arbitrario. Soprattutto all’epoca della dittatura militare, anche da latifondisti e aziende agricole che avevano acquistato i titoli di proprietà dallo Stato, che non aveva titolo per venderli. La sentenza prevede l’indennizzo dei proprietari che li abbiano acquisiti “in buona fede”.
Vinta una battaglia importante, ma non ancora la guerra. Una settimana dopo la sentenza, infatti, il Senato ha approvato una legge centrata proprio sul Marco temporal, che impone inoltre agli indigeni l’onere di dimostrare che vivono secondo le loro antiche tradizioni e costumi.
Cosa succederà ora, con regole del gioco diametralmente opposte? In Parlamento è forte la pressione dei ruralisti, parlamentari del blocco oppositore in gran parte di stampo bolsonarista che difendono gli interessi delle grandi aziende agricole e di allevamento e promuovono di fatto l’assimilazione culturale degli indigeni. Sostengono la necessità della nuova legge approvata dal Senato per risolvere le controversie sulla terra, dare sicurezza agli investimenti e impulso all’economia. Il gruppo ruralista promuoverà la promulgazione – che il presidente della Repubblica non pare disposto a firmare –, e nel frattempo sta presentando una proposta di emendamento costituzionale affinché il Parlamento possa annullare le sentenze della Corte Suprema che “superano” i limiti costituzionali. Una missione impossibile (almeno per ora) date le elevate maggioranze qualificate necessarie per modificare la Costituzione.
Da parte sua, il presidente Lula – che ha istituito un Ministero per i Popoli Indigeni ed ha riaperto la demarcazione dei territori indigeni dopo lo stop imposto dal suo predecessore – potrebbe porre un veto alla legge del Senato (che potrebbe però essere annullato da una seconda tornata parlamentare), la quale sarebbe probabilmente impugnata presso la Corte Suprema da organizzazioni della società civile.
Il governo dovrà scegliere se per le pratiche di demarcazione in sospeso si baserà sulla sentenza della Corte o sulla nuova norma. Anche se appare scontata la prima ipotesi, l’iter potrebbe risultare rallentato. Per le cause aperte, ogni giudice ha potestà di decidere a suo criterio. Tuttavia, secondo la maggioranza dei giuristi, la logica impone il rispetto del principio costituzionale ribadito dalla Corte Suprema (che è pure l’ultima istanza dell’ordinamento processuale).
In gioco, ci sono interessi e modelli di sviluppo contrapposti. Da una parte quelli dei produttori agroindustriali, degli allevatori e il loro indotto. Dall’altra, quello di 305 popoli indigeni (più di 900 mila persone), per i quali la terra rappresenta il modo di vita e il sostentamento.
Ma non solo. La progressiva espansione della “frontiera agraria” è una minaccia per l’ambiente. E se è vero che la loro terra fa gola e rappresenta già oggi il 13,75 % del territorio brasiliano, è anche vero che come non mai l’umanità ha bisogno di conservare le foreste. Uno studio dell’Ong internazionale “Istituto Mondiale delle Risorse” (Wri) e della società di consulenza Climate Focus, citato da Swissinfo, afferma che i terreni boscosi dei popoli indigeni di Brasile, Colombia, Messico e Perù «catturano più del doppio di CO2 rispetto a quelli non indigeni», grazie al loro modello produttivo sostenibile e alle ampie aree vergini.
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