Pfas, chiarito il legame col rischio infarto
Arriva, se mai ce ne fosse stato bisogno, un’ulteriore conferma della pericolosità dei composti perfluoro-alchilici (Pfas): uno studio sperimentale, coordinato dal professor Carlo Foresta e condotto in collaborazione con il dottor Luca De Toni e il dottor Andrea Di Nisio del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, ha infatti indagato il meccanismo attraverso il quale Pfoa e Pfos, i più diffusi composti della famiglia degli Pfas, interferiscono con il processo di assorbimento cellulare del colesterolo dal sangue.
La ricerca, pubblicata su Toxicology Reports ha dimostrato che queste sostanze interagiscono con la membrana delle cellule del fegato e ostacolano il normale assorbimento di colesterolo, incrementandone quindi i livelli circolanti: poiché l’ipercolesterolemia è il principale fattore di rischio per le cardiopatie ischemiche, questo spiegherebbe i risultati di numerosi studi epidemiologici sia internazionali che in Veneto condotti sulla popolazione residente in zone contaminate. Questi rilevano che la percentuale dei soggetti con elevati livelli di colesterolo nel sangue, nella fascia di età compresa 35 e 75 anni, è più del doppio rispetto alla popolazione generale: di qui dunque l’aumentata incidenza di malattie cardiovascolari ed eventi ad esse correlati, come appunto l’infarto.
«È importante notare che questo effetto sembra sia dovuto a una ridotta plasticità della membrana cellulare, che impedisce la corretta funzionalità di tutti quei meccanismi di captazione del colesterolo – spiega il professor Foresta -. I risultati di questo studio permettono di comprendere il perché dell’aumento dei livelli di colesterolo ematici nelle popolazioni esposte: 57 per cento rispetto al 27 della popolazione generale. È noto che l’ipercolesterolemia è il principale fattore di rischio per le cardiopatie ischemiche: infarto, ipertensione. Studi internazionali hanno dimostrato come Pfoa e Pfos comportino un aumento del 37 e del 54 per cento rispettivamente di eventi cardiovascolari avversi».
«Avevamo già dimostrato in passato un altro meccanismo che poteva spiegare l’aumentata incidenza di eventi cardiovascolari nelle popolazioni esposte – aggiunge ancora il medico -, che dai nostri studi potrebbe essere indotto dall’attivazione delle piastrine indotta dai Pfas, con conseguente facilitazione della formazione di trombi».
Un ulteriore tassello dunque al complicato puzzle degli affetti avversi dei Pfas; sostanze che, lo ricordiamo, permangono nell’organismo delle persone esposte anche per oltre un decennio.