Il trionfo della cronaca
Ero in treno, l’altro giorno. Attorno a me c’erano due donne e un uomo sulla sessantina. Sul tavolino facevano bella mostra di sé (si fa per dire, la grafica era orribile) alcune riviste di cronaca: 40 per cento gossip, 40 cronaca nera, 20 giudiziaria. I miei tre compagni di viaggio si sono messi a discutere su alcuni degli articoli in mostra (che avevano letto attentamente), con un tale accanimento che ho dovuto alzare lo sguardo dal serioso testo sull’etica dell’intelligenza artificiale che stavo leggendo, un testo lo confesso, un bel po’ più impegnativo delle loro amene letture, forse più divertenti delle citazioni di Luciano Floridi o della Martha Nussbaum.
Mi ha subito colpito l’incredibile serie di luoghi comuni proposti dai tre compagni di viaggio per giustificare o almeno spiegare i comportamenti di una concorrente di X-Factor che aveva mollato il suo compagno per mettersi con un’altra concorrente («Cosa ci trova di bello una donna in un’altra donna?», «Poveri uomini!», «È l’alimentazione sbagliata che fa amare una persona dello stesso sesso»), oppure per giustificare l’ammazzatina di tre persone in un bar siciliano («Chissà quanto sua moglie lo ha esasperato», «La gente ammazza perché si annoia», «La polizia non fa mai il proprio dovere di prevenzione»), o ancora per stigmatizzare l’assoluzione di un presunto ladro di bitcoin («Il digitale, l’ho sempre detto, è il demonio», «La gente non sa più lavorare, vuole diventare ricca con un clic», «i giudici sono tutti corrotti»). E via dicendo.
C’era da divertirsi un mondo per la pochezza delle discussioni, o piuttosto da piangere. E, al solito, non ho potuto non pormi la questione classica da cento dollari: perché? Perché mai la gente s’interessa di sesso-soldi-sangue? Perché il macabro, il piccante e il lusso attirano tanto i miei connazionali, e forse gran parte delle popolazioni del pianeta? Ho cercato di mettere da parte i miei di luoghi comuni («Siamo ancora al panem et circenses», «La cronaca nera parla alla pancia, quella bianca allo spirito», o ancora ridere in cuor mio per una vecchia citazione di Nino Manfredi, «Popolo, tu sei monnezza») per cercare le ragioni di un successo che data ai primi racconti dell’umanità, la Bibbia, i Vedanta, l’Epopea di Gilgamesh… È innegabile, infatti, che sesso-soldi-sangue siano elementi presenti da sempre nelle narrative del mondo intero, agli albori dell’epoca del linguaggio, diciamo 1500-1000 anni prima di Cristo.
Mi sono venute in mente alcune ragioni che potrebbero spiegare il perché del successo universale della cronaca, a cominciare dal fatto che sesso-soldi-sangue sono tre tra gli elementi essenziali, tra i più ancestrali dell’umanità, rappresentando piacere e fertilità, potere e lusso, sussistenza e vita. Ma su questa innegabile base, da sempre, da quando è stata inventata la parola, gli esseri umani hanno iniziato a conversare, oltre che di cibo, di bello e cattivo tempo e di soprannaturale, in sesso-soldi-sangue hanno trovato argomenti che solleticavano la loro curiosità, suscitando nel contempo la vena moralizzatrice (per gli altri, prima che per sé stessi) dell’essere che vive in società e vuole che questa sia modellata secondo i propri intendimenti.
Ancora, mi è parso che l’essere umano, raccontando fatti di sesso-soldi-sangue eserciti quella pigrizia mentale che colpisce tutti noi quando scegliamo di usare con parsimonia i nostri neuroni, non si sa mai che si affatichino troppo.
E poi, ohibò, perché anche la Bibbia, la Bhagavad Gita e il Corano stesso raccontano fatti di sesso-soldi-sangue? Pensate alle malefatte del re David, o alle tante mogli di Muhammad, o alle avventure amorose del pantheon indù… Gli scrittori sacri peccavano di voyeurismo? Erano curiosoni? Forse taluni lo erano, è vero, ma essi usavano queste note così umane, talaltra un po’ meno che umane, soprattutto per evidenziare quello che rende l’essere umano veramente tale, uscendo dalla più facile sub-umanità.
Ecco, questa è la più convincente delle ragioni che spiegano l’inveterata umana tendenza a discorrere di sesso-soldi-sangue, di cronaca insomma. Per lasciare scorrere cronos, il tempo, e così cercar di non pensare alla nostra finitudine, perché tutti dobbiamo morire, è questa la sola vera uguaglianza nel genere umano. Ecco, la cronaca anestetizza la morte. Ma per poco tempo.