Da Marsiglia il grido del papa: «Aprite le porte e il cuore a chi ne ha bisogno»
L’evento Rencontres Méditerranéennes si è concluso. L’arrivo di papa Francesco, la presenza di 70 giovani e altrettanti vescovi, teologi e laici, provenienti da Paesi diversi, ha acceso l’entusiasmo per potere costruire dei percorsi di speranza nel Mediterraneo.
Dopo Bari e Firenze, il cammino al servizio dei popoli mediterranei progredisce, a Marsiglia laici e responsabili ecclesiastici non hanno trattato reciproci interessi, ma sono stati animati dal desiderio di prendersi cura dell’uomo e dalla donna, hanno colto l’importanza dell’ascolto reciproco per il futuro della Chiesa e della società. Gli incontri del Mediterraneo hanno avuto lo scopo di valorizzare popoli e culture, che hanno portato con sé la diversità, ma che nella differenza hanno trovato la ricchezza e la possibilità di costruire un sentire comune.
Il papa, durante la celebrazione della Santa Messa a Notre Dame della Garde, ha invitato la Chiesa di Marsiglia, ma non solo, ad aprire le porte e il cuore a chi ha bisogno. «Siamo tenuti ad abbassarci, a provare compassione per i nostri fratelli e sorelle». Esorta il clero a perdonare e ad essere misericordiosi a non far venire mai meno il calore dello sguardo paterno e materno di Dio. Si rivolge ai giovani, che ha sempre a cuore: «Voi siete la Marsiglia del futuro», li esorta ad andare avanti senza scoraggiarsi. Poi un’esortazione alla città di Marsiglia, affinché sia per la Francia, per l’Europa e per il mondo un mosaico di speranza.
Abbiamo incontrato Chiara Barbaccia, 28 anni, palermitana, una dei giovani presenti all’incontro.
Che cosa ti ha colpito delle parole che papa Francesco ha pronunciato sabato mattina, durante la conclusione dei lavori?
Papa Francesco nel suo discorso conclusivo dei Rencontrés méditerranéennes, ha portato 3 immagini concrete come esempi da cui iniziare a radicare sentieri di pace: il mare, il porto e il faro. Egli afferma che “sulle rive del Mare di Galilea Gesù cominciò con il dare speranza ai poveri, proclamandoli beati: ne ascoltò i bisogni, ne sanò le ferite e proclamò loro anzitutto il buon annuncio del Regno. Il papa sottolinea, inoltre, che il vero male sociale non è tanto la crescita dei problemi, ma la decrescita della cura, che chiudere le porte e i porti delle città alimenta le paure della gente. È dal prendersi cura l’uno dell’altro che occorre ripartire, dal grido spesso silenzioso degli ultimi. E afferma anche che il fenomeno migratorio non può essere considerato come “invasione” ed “emergenza” perché chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza, cerca vita. Il fenomeno migratorio non è tanto un’urgenza momentanea, ma un dato di fatto dei nostri tempi.
La proposta del papa lancia una sfida a tutti i popoli del Mediterraneo, quale?
I migranti vanno accolti, protetti e accompagnati, promossi e integrati. Se non si arriva fino alla fine, il migrante finisce nell’orbita della società.
Perché il papa ha paragonato voi giovani a un faro?
Il faro è la luce che indica la rotta futura. Francesco propone di partire dall’università, perché è lì che i giovani non sono ammaliati dalle seduzioni del potere, ma dal sogno di costruire l’avvenire. Le università mediterranee siano laboratori di sogni e cantieri di futuro, dove i giovani maturano incontrandosi, conoscendosi e scoprendo culture e contesti vicini e diversi al tempo stesso.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Tutto questo mi interpella come giovane che vive allo stesso tempo in un contesto singolare, nella sua città di Palermo, ma anche plurale, inserita in un contesto più ampio qual è il Mediterraneo. L’augurio che mi faccio alla fine di questi incontri ricchi e densi di storie e di volti è quello di non chiudere mai le porte del cuore all’incontro con l’altro cercando di vedere Dio che si fa prossimo.
Le parole con le quali papa Francesco ha concluso il suo viaggio a Marsiglia, sembrano essere un testamento, un’esortazione a ciascuno di noi: essere mare di bene, per far fronte alle povertà di oggi con una sinergia solidale; ad essere porto accogliente, per abbracciare chi cerca un futuro migliore, e ad essere faro di pace, per fendere, attraverso la cultura dell’incontro, gli abissi tenebrosi della violenza e della guerra.
Non ci resta che lasciare la nostra terra ferma e con coraggio navigare in mari che ci conducono dei nostri fratelli uomini e donne che vivono nelle periferie esistenziali. Solo allora possiamo rispondere a Dio: «Sono io il custode di mio fratello!».
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