Il 21 marzo Giornata contro la discriminazione razziale

Il 21 marzo di ogni anno il Sudafrica commemora una delle tante pagine oscure nella storia del Paese arcobaleno: l'anniversario del massacro di Sharpeville, avvenuto il 21 marzo 1960, quando 69 persone morirono e 180 furono ferite dalla polizia che sparò su una folla pacifica che si era riunita per protestare contro le "leggi del lasciapassare" (pass laws).
Sharpeville, cimitero delle vittime del massacro del 21 marzo 1960 (Foto: di Andrew Hall, Opera propria, CC BY-SA 4.0, Wikimedia commons)

La giornata del 21 marzo 1960 non finì a Sharpeville, ma è diventata una data iconica nella storia dell’umanità, segnò l’affermazione della gente comune, che si alzò all’unisono per proclamare i propri diritti. In riconoscimento degli eventi di questa cittadina, nell’allora provincia del Transvaal, in Sudafrica, le Nazioni Unite hanno dichiarato il 21 marzo di ogni anno la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. Proclamandola nel 1966, l’Assemblea Generale ha invitato la comunità internazionale a raddoppiare gli sforzi per eliminare tutte le forme di razzismo.

Quando nel 1948 il Partito Nazionalista prese il potere in Sudafrica, formalizzò la segregazione in una serie di leggi; le politiche di apartheid diedero al governo il controllo sui movimenti dei neri nelle aree urbane. Il Native Laws Amendment Act, del 1952, restrinse poi il controllo sui neri con residenza permanente nelle città. Legalmente, nessuna persona di colore poteva lasciare un’area rurale per una urbana senza un permesso delle autorità locali; all’arrivo in un’area urbana, la persona doveva ottenere un permesso entro 72 ore per cercare lavoro. Il cosìddetto libretto di riferimento, o Pass, comprendeva una fotografia, i dettagli del luogo di origine, il curriculum lavorativo, i pagamenti delle tasse e le note della polizia.

Il Congresso Panafricano (Pac) indisse una campagna anti-pass da iniziare il 21 marzo 1960. A Sharpeville alcune migliaia di neri si riunirono senza pass e si presentarono presso la stazione di polizia, per l’arresto. Fu dato l’ordine di disperdersi, dopodiché la polizia aprì il fuoco su una folla inerme di uomini, donne e bambini, provocando 69 morti e 180 feriti. Dopo il massacro di Sharpeville, il governo nazionalista mise al bando numerosi movimenti politici dei neri, ma il movimento di resistenza continuò a operare in clandestinità.

Dopo lo smantellamento dell’apartheid, dal 1994, la data del 21 marzo viene commemorata in Sudafrica come Giornata dei diritti umani. Sharpeville è stato il luogo scelto dal presidente Nelson Mandela per la firma della Costituzione del Sudafrica, il 10 dicembre 1996.

Nel 1998, la Commissione per la verità e la riconciliazione ha stabilito che l’azione della polizia a Sharpeville aveva provocato «gravi violazioni dei diritti umani, in quanto era stata usata inutilmente una forza eccessiva per fermare una manifestazione di persone disarmate». Da allora, le leggi e le pratiche razziste sono state abolite in molti Paesi, ma ancora, in tutte le regioni del mondo, individui, comunità e società soffrono dell’ingiustizia e dello stigma che il razzismo porta con sé.

Mandela
La gente passa davanti a un murale dell’ex presidente sudafricano Nelson Mandela, a Katlehong, a est di Johannesburg, Sudafrica. (Foto AP/Themba Hadebe)

Con un articolo su Savoir.Média, Le devastazioni del razzismo invisibile o la parte nascosta dell’iceberg, Gina Thésée e Paul R. Carr, professori all’Università del Québec, sostengono che «al giorno d’oggi, né il silenzio, né l’indifferenza, né la banalizzazione, né l’ignoranza, né la negazione, né l’arroganza sono intellegibili di fronte al fenomeno del razzismo». Ritengono pertanto che sia imperativo intraprendere un processo di consapevolezza sociale, storica critica ed etica.

«La nostra ricerca sull’antirazzismo e sull’educazione antirazzista – confidano gli autori – ci ha portato a considerare la centralità di questa lotta». Sostengono quindi l’importanza di studiare le manifestazioni e gli effetti del razzismo invisibile, la cui portata è ben rappresentata dalla punta di un iceberg.

«Questa metafora ci aiuta a capire che il razzismo visibile e le sue macro-aggressioni (omicidi, brutalità, profilazione razziale, cattiveria, arroganza, insulti, negazione), sono solo la punta dell’iceberg. Nonostante la gravità degli atti e degli effetti del razzismo visibile, gli effetti più devastanti sulle persone razzializzate sono causati dalle micro-aggressioni del razzismo invisibile. Il razzismo invisibile opera inconsciamente e funge da base di convalida, giustificazione e impunità per le macro-aggressioni del razzismo visibile».

Ispirandosi alle teorie antirazziste (tra cui quelle formulate da Scheurich e Young), Thésée e Carr distinguono cinque livelli di razzismo.

«Il razzismo individuale si manifesta in una varietà di situazioni quotidiane, si riferisce ad atti deliberati ed espliciti, compiuti con l’obiettivo di umiliare, escludere, attaccare o eliminare una persona. Il razzismo istituzionale si manifesta nelle istituzioni attraverso le loro politiche, regole, procedure e pratiche. La cultura istituzionale riflette i valori e i discorsi sociali del gruppo dominante e agisce insidiosamente a danno delle persone razzializzate. La negazione della diversità contribuisce all’esclusione sociale, individuale e collettiva».

«Il razzismo sociale si insinua negli atteggiamenti, attitudini e comportamenti culturali di una società così come appaiono nel discorso sociale e nei media. Il risultato è la squalifica delle comunità nelle loro identità, alterità e cittadinanza. Il razzismo di civiltà fa riferimento ad aspetti inconsci, sepolti nello sviluppo del pensiero».

«Il razzismo potenziale è insito nella mente delle persone razzializzate, ma i suoi effetti sono molto reali. Si riferisce ad un atto razzista che non è ancora manifesto, ma è così ben interiorizzato, che la persona è costantemente in allerta».

In conclusione i due professori canadesi consigliano che le azioni antirazziste da intraprendere debbano affrontare l’iceberg del razzismo nella sua complessità e in ciascuno dei suoi strati.

«Dobbiamo agire dalla punta alla profondità dell’iceberg attraverso la resistenza, la decostruzione, la disintossicazione del nostro discorso e del nostro pensiero, la decolonizzazione, la lotta e l’emancipazione. Guarire dal trauma del razzismo richiede un’immersione profonda».

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