“La luce va data”. Prima edizione critica di Meditazioni di Chiara Lubich
Sotto la data 5 settembre 1823 Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone annotava un’etimologia che può sorprendere: «meditare» deriverebbe dal latino medeor che significa «medicare, curare». E concludeva: «Il meditare una cosa è una continuazione del semplice averne o pigliarne cura». La meditazione spirituale può, quindi, diventare una vera e propria cura o medicina dell’anima. È un po’ questa anche la finalità delle pagine che ora il lettore ha tra le mani. In esse Chiara Lubich vuole idealmente offrire quasi un «ricettario» dello spirito, naturalmente in chiave cristiana.
È una medicazione necessaria soprattutto quando l’esteriorità, che genera superficialità, ha aperto tante feritoie nella coscienza, lasciando che da esse fuoriescano e si disperdano nel vuoto la vitalità della fede, la sensibilità morale, l’anelito per la verità, l’impegno della carità. Nella semplicità del dettato, costellato di intarsi evangelici, Chiara sfoglia davanti a noi una sequenza di riflessioni, spesso affidate a schegge testuali, oppure a intuizioni, talvolta a invocazioni, ove il Tu divino è destinatario di inni di lode o di canti di supplica, pronti in qualche caso ad assumere in filigrana il ritmo poetico.
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Anche Maria è spesso evocata come un modello dell’immersione dello Spirito di Dio nella storia, persino nella semplicità della quotidianità: «La Vergine non aveva un vestito particolare. Indossava le vesti del suo tempo, per cui, guardando Lei, la vergine di oggi non sente di mancar in qualche cosa perché veste come le altre. Anzi, quei suoi indumenti che adatta il meglio possibile alla moda dei suoi giorni… le diventan cari: son essi che permettono l’accesso del suo cuore infiammato per Iddio ad altri cuori che Dio non conoscono». Tenendo fisso lo sguardo a Cristo e a sua Madre, anche il discepolo s’immerge nel suo tempo.
Fin dalle prime righe delle Meditazioni si esalta questa nostra «incarnazione»: «Ecco la grande attrattiva del tempo moderno: penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo». È in questa luce che «la mia casa può avere il profumo del chiostro; anche le pareti del mio abitato possono divenire regno di pace, fortezze di Dio in mezzo al mondo… Iddio stesso saprà dare anche a queste mura l’imponenza di un’abbazia e a questa stanza la sacralità d’una chiesa, al mio seder a mensa la dolcezza d’un rito, alle mie vesti il profumo d’un abito benedetto, al suono della porta o del telefono la nota gioiosa d’un incontro coi fratelli, che rompe, eppur continua, il colloquio con Dio».
È, questo, quasi il basso continuo che accompagna la riflessione spirituale di Chiara che nella quotidianità anche povera e modesta vede il riflesso della trascendenza, del mistero, del divino: «Percorri le strade, sali le soffitte, scendi nelle cantine, ricerca Cristo nei posti pubblici e privati, nelle stazioni, nelle ferrovie, nei bassifondi ed accarezzalo soprattutto col tuo sorriso». E qui si sente l’eco dell’appello di Cristo a intravedere nel volto della persona affamata, assetata, straniera, nuda, malata, carcerata i suoi stessi lineamenti (Mt 25, 31-46). Purtroppo, però, bisogna riconoscere anche che «molti cristiani si svegliano al mattino nella malinconia della noia». È la cecità che impedisce lo sguardo profondo che carica di significato gli eventi e gli incontri dell’esistenza. Per molti «la vita ha solo brevi squarci di sole, e il resto è immerso in una noia che una voce più forte condanna» e cerca di diradare così da far fremere ancora il cuore. È la voce di Dio e della coscienza.
La vera santità è, dunque – secondo la prospettiva dell’Incarnazione di Cristo – una liberazione da questa oscurità intima così da essere irradiati e da irradiare una luminosità che trasfigura ogni realtà, le opere e i giorni, gli uomini e le donne che s’incontrano. Infatti, «l’occhio del santo è uno sguardo di Dio sulla terra»; è «il vedere le cose dall’occhio di Dio nella verità». Suggestiva è, al riguardo, una delle più lunghe tra le 58 meditazioni raccolte in questo libro, quella intitolata …o seguace di Cristo non è. È una sorta di esame di coscienza che il discepolo deve compiere per verificare l’autenticità della sua sequela di Cristo, è la cartina di tornasole della genuina santità che si esplica nella fedeltà alla storia personale, nella continuità delle scelte quotidiane, nelle vicende della propria esistenza.
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Card. Gianfranco Ravasi
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