Ho 14 anni e amo il mio paese, il Libano
La Banca Mondiale calcola che “se” si iniziasse oggi a ricostruire la disastrata economia del Libano ci vorrebbero fra 12 e 20 anni per riportare il Pil del Paese ai livelli precedenti il 2019. Un “se” che ha però sempre meno possibilità. Secondo uno studio dell’Osservatorio Crisi dell’Aub (Università americana di Beirut), il Libano sta perdendo il capitale umano necessario alla rinascita. L’esodo di giovani studenti, laureati e professionisti ha ormai superato quello avvenuto al tempo della Prima Guerra Mondiale e l’altro avvenuto durante la guerra del 1975-1990.
Particolarmente pesante negli ultimi mesi, fra il resto, il crollo della Sanità: già a settembre scorso il direttore regionale dell’Oms, Ahmed Al-Mandhari, osservava: «Quasi il 40% dei medici qualificati e il 30% del personale infermieristico ha lasciato il Paese in modo permanente o temporaneo». Le stesse strutture sanitarie operano da tempo al 50% delle loro possibilità a causa della mancanza di carburante (per produrre elettricità) e dei suoi costi, schizzati a livelli proibitivi; oltre alla mancanza di medicinali e al loro continuo aumento di prezzo provocata dalla svalutazione della moneta, dal venire meno dei sussidi statali e dalla mancanza di valuta per acquistarli all’estero.
L’analisi dell’Osservatorio Crisi dell’Aub segnala che a lasciare il Libano non sono però solo medici e infermieri, ma anche avvocati, docenti universitari, architetti, ingegneri, imprenditori, tecnici informatici, ricercatori e tanti giovani, in particolare studenti universitari. Si può capire: a parte la mancanza crescente di servizi essenziali, il lavoro – quando c’è – è pagato pochissimo: chi per esempio nel 2019 riceveva in lire libanesi l’equivalente di mille dollari, oggi supera di poco i cinquanta, con i quali non si riesce evidentemente a vivere (e le assicurazioni sociali pubbliche sono praticamente inesistenti).
Allo stesso tempo, come sottolinea l’analisi dell’Aub, i libanesi sono ben accolti all’estero, come persone preparate e capaci. Tanto che la diaspora conterebbe almeno 15 milioni di libanesi sparsi nel mondo, tre volte quelli che vivono in Libano.
Personalmente, ho vissuto in Libano negli anni precedenti il default dello Stato (4 marzo 2020) e l’inizio della pandemia. Sono ritornato a viverci da alcuni mesi. Amo il Libano, l’ho amato da subito, anche con i suoi difetti e problemi, appena ci ho messo piede. Preferisco però rinunciare ad attribuire alla politica (nazionale e internazionale) il disastro che sta accadendo (senza certamente assolvere chi ha la responsabilità di aver portato il Paese fino a questo punto), perché credo che la sola speranza di riscatto passi da una scelta come quella di Anna Maria, che ha scritto quanto segue in un tema svolto a scuola.
«Mi chiamo Anna Maria, ho 14 anni e amo tanto il mio paese. Tuttavia, ultimamente, qualcosa mi rattrista… Molti miei amici e compatrioti stanno lasciando il Libano a causa della crisi economica.
E io sono qui, ora, davanti a voi, e voglio rivelarvi un segreto, un segreto che la mia famiglia ha condiviso generazione dopo generazione.
È il nostro modo di combattere l’intimidazione, il nostro modo di combattere qualsiasi cosa: non ci arrendiamo mai, e tutto questo lo impariamo dagli alberi.
Se ci pensate, un albero non sceglie dove crescerà… gli alberi non brontolano se ci sono tanti altri alberi, se accanto a loro c’è competizione o negatività. Crescono e basta… si concentrano sull’essere il migliore albero possibile. Ad un albero non importa se oggi fa più caldo di prima o se pioverà. Gli alberi si adattano… a volte perdono le foglie, altre volte semplicemente vanno in letargo o si concentrano sull’avere radici più lunghe.
Gli alberi sono testardi, lottano per tutta la vita contro pericoli e nemici; le tempeste possono spezzare i loro rami, ferire le radici, strappare le foglie; eppure anche invecchiando rimangono verdi.
Gli alberi continuano a crescere anche se vengono lasciati soli con risorse limitate. Crescono su un’isola remota, nei deserti, sulla vetta più alta di una montagna e in condizioni meteorologiche estreme.
Per loro scelta gli alberi non cambiano mai di posto, tendono anzi a rimanere al loro posto, sono tutt’uno con il terreno e l’ambiente… Gli alberi sono dei guerrieri, ci insegnano strategie per combattere i tiranni e vincere. Bisogna avere dentro qualcosa di speciale per non arrendersi mai.
Cari amici, il piccolo seme sapeva che per crescere doveva essere gettato nella terra, coperto di tenebre e lottare per raggiungere la luce. Si dice che qualcuno voleva seppellirci come libanesi, ma ha dimenticato che noi siamo semi. Cari amici, impariamo dagli alberi ad amare il Libano, ogni giorno un po’ di più».