A Buenos Aires cala il sipario
In queste ultime due settimane, lontano dall’occhio spesso “invadente” dei grandi media, oltre 4 mila giovanissimi atleti provenienti da ogni angolo del pianeta (in gran parte tra i 15 ed i 18 anni), hanno preso parte ai Giochi olimpici giovanili estivi che si sono disputati a Buenos Aires (Argentina). Una manifestazione giunta alla sua terza edizione, dopo quelle disputate a Singapore (Malesia) nel 2010 e a Nanchino (Cina) nel 2014, che ha dato vita a riflessioni diametralmente opposte. Secondo alcuni osservatori, infatti, questi Giochi rappresentano una pericolosa spinta verso un’eccessiva precocità agonistica.
E poi quei format di gara così particolari, in alcuni casi modificati per andare incontro alle preferenze del pubblico giovanile, poco avrebbero a che vedere con il vero senso dello sport. Guardando le cose da un altro punto di vista, invece, proprio in alcuni apparenti limiti di questo evento si possono trovare degli spunti assai interessanti. Uno su tutti, un programma di competizioni spesso inedito, caratterizzato dalla disputa di specialità nelle quali hanno gareggiato in squadra, insieme, atleti di diverso sesso e nazionalità. Il tutto frutto di una scelta non a caso, ma voluta proprio per mettere in risalto l’importanza della socializzazione e del divertimento, ancor prima del risultato.
Prendete il caso di Veronica Toniolo, l’atleta più giovane della delegazione azzurra presente a questi Giochi. Dopo la tristezza per la medaglia sfuggita d’un soffio nella gara individuale, la quindicenne triestina ha potuto gioire nel “mixed team”, una competizione a squadre di judo nella quale ha combattuto (e vinto la medaglia d’oro) inserita nella stessa formazione (a cui era stato assegnato simbolicamente il nome Pechino) insieme a una judoka croata e a un bielorusso, a una messicana e a un venezuelano, a una rappresentante di Taipei e a un uzbeko. Un mix, vincente, di continenti e di lingue.
«Mi sono trovata davvero a mio agio – ha dichiarato l’atleta italiana – tra di noi si è creata un’intesa perfetta nonostante fino a ieri fossimo quasi dei perfetti sconosciuti. Ci siamo sostenuti a vicenda e abbiamo combattuto per lo stesso obiettivo, superando insieme anche i momenti più critici». Più o meno le stesse sensazioni provate anche da altri azzurri saliti sul gradino più alto del podio olimpico giovanile a Buenos Aires. Come ad esempio gli schermidori Martina Favaretto (specialista del fioretto) e Davide Di Veroli (spadista cui gli addetti ai lavori pronosticano un grande futuro), che dopo aver conquistato medaglie per l’Italia a livello individuale, hanno poi vinto la prova transnazionale a squadre di scherma insieme a due ungheresi, un francese e un’ucraina.
Come dicevamo, questa particolare formula, applicata a 13 dei 241 eventi di questi Giochi giovanili, a qualcuno ha fatto storcere il naso. Che valenza tecnica può avere una prova di ginnastica, ad esempio, nella quale gareggiano insieme atleti provenienti da nazioni diverse, di sesso e di discipline differenti come artistica, ritmica, acrobatica e trampolino? Beh, guardate la soddisfazione a fine competizione della squadra vincente della quale faceva parte anche la quindicenne Talisa Torretti, e avrete una risposta esaustiva. E poi, nelle intenzioni del Comitato olimpico internazionale, queste gare hanno proprio lo scopo di togliere importanza al medagliere finale, e di “preservare” nella manifestazione un’aria di festa.
Una manifestazione nella quale abbiamo potuto assistere a sport “tradizionali”, ma anche a discipline “inedite”. Alcune di queste, come il karate, l’arrampicata sportiva, il basket 3 contro tre giocato a un solo canestro e la bmx freestyle di ciclismo, hanno fatto le prove generali in vista dell’esordio nel consesso olimpico che avverrà, anche per gli atleti più grandi, ai Giochi di Tokyo del 2020. Altre, invece, dovranno aspettare ancora. Come il beach handball, una variante della pallamano giocata sulla sabbia. Come il pattinaggio a rotelle o la breakdance, sport apprezzatissimo dal pubblico più giovane, che in questi Giochi ha riscosso un grandissimo successo.
Molti dei ragazzi che hanno gareggiato in questi ultimi giorni, hanno dimostrato grande talento e, probabilmente, saranno tra i campioni dello sport di domani. Tra questi anche diversi italiani, come la velista Giorgia Speciale (assoluta dominatrice delle regate di windsurf), come il nuotatore Thomas Ceccon (a Buenos Aires capace di vincere ben 5 medaglie, di cui una d’oro nei 50 stile libero), o come la ginnasta Giorgia Villa (la micidiale classe 2003 che sembra già pronta a raccogliere l’eredità di Vanessa Ferrari). Atleti che sono solo le punte dell’iceberg di una delegazione tricolore vincente come non mai, capace di portare a casa ben 41 medaglie (11 ori, 10 argenti e 13 bronzi, cui vanno poi aggiunti 5 ori e 2 argenti ottenuti in competizioni transnazionali).
Adesso, per diventare degli sportivi con la S maiuscola, questi giovani vanno però lasciati crescere senza troppe pressioni sulle spalle. Magari, attraverso la partecipazione a eventi come questi Giochi olimpici giovanili (la prossima edizione si disputerà a Dakar, in Senegal, nel 2022). Giochi dove forse, almeno da un punto di vista puramente tecnico, talune scelte potranno anche essere state discutibili, ma dove paradossalmente, proprio per questo, tanti giovani atleti hanno potuto vivere le gare senza troppo stress. Condividendo quindi, con ragazzi di diversa cultura, lingua, razza o religione, un’indimenticabile e formativa esperienza di vita.