Ricercatori in fuga dagli Usa, occasione per ReBrain Europe

Molti ricercatori stanno pensando di lasciare gli Stati Uniti verso destinazioni dove la ricerca è più libera e più finanziata. L’iniziativa ReBrain Europe vuole attrarli.
EPA/CJ GUNTHER

La scure del Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, si è abbattuta anche sulla ricerca.

Infatti, la nuova amministrazione a stelle e strisce ha tagliato i finanziamenti alla ricerca e bloccato molte attività scientifiche finanziate a livello federale, nell’ambito di un’iniziativa di riduzione dei costi a livello governativo condotta da Elon Musk, il miliardario patron di Tesla, che guida il Doge, ovvero Department of Government Efficiency (Dipartimento per l’efficienza del Governo, ndr). Nello specifico, tagli massicci a sovvenzioni e stipendi stanno mettendo in difficoltà i ricercatori statunitensi, mentre studi e sperimentazioni cliniche sono stati bloccati e innumerevoli progetti sono stati cancellati.

Sono decine di migliaia i dipendenti federali, tra cui molti scienziati, che sono stati licenziati dall’amministrazione e poi riassunti a seguito di un’ordinanza del tribunale, con la minaccia di ulteriori licenziamenti di massa in futuro. Poi, le misure repressive contro l’immigrazione e gli studenti stranieri presenti nelle università statunitensi, ma anche gli attacchi del governo alla libertà accademica, come nel caso dell’eliminazione di libri non graditi all’establishment trumpiano dalle biblioteche universitarie o l’eliminazione delle politiche di genere e di inclusione, nonché la repressione del dissenso verso Israele o il sostegno alla causa palestinese, stanno confondendo se non esasperando i ricercatori, proiettando un’ombra sul futuro della ricerca negli Stati Uniti.

Infatti, secondo un sondaggio condotto dalla rivista Nature sui ricercatori attivi negli Stati Uniti, su 1608 rispondenti, ben il 75,3% dei ricercatori sta prendendo in considerazione l’idea di lasciare gli Stati Uniti, mettendo in discussione le proprie vite e carriere, a seguito del caos che stanno generando le politiche di Trump. La tendenza alla fuga è particolarmente pronunciata tra i ricercatori all’inizio della carriera: tra i 690 ricercatori post-laurea che hanno risposto al sondaggio, 548 stanno ipotizzando di lasciare gli Stati uniti, così come 255 dottorandi su 340. Tra coloro che si dicono propensi a lasciare il Paese, le principali destinazioni potenziali sarebbero l’Europa e il Canada.

E, allora, perché non attivarsi per attrarli? Magari proprio in Italia? È dal nostro Paese, infatti, che, alla Festa di Scienza e Filosofia di Foligno e Fabriano, su iniziativa del fisico Roberto Battiston, dell’Università di Trento, e dal filosofo della scienza Silvano Tagliagambe, professore emerito dell’Università di Sassari, è stato presentato il manifesto ReBrain Europe, per un’Europa della scienza aperta, con lo scopo di accogliere i ricercatori in fuga dagli Stati Uniti ma anche di rafforzare la capacità scientifica dell’Unione europea (Ue).

Il manifesto, indirizzato al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e al ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, che ha raccolto circa mille firme, riconosce che «negli Stati Uniti, paese che per decenni ha rappresentato un punto di riferimento per la ricerca mondiale, si sta verificando un progressivo indebolimento delle istituzioni scientifiche federali», identificato in «tagli ai finanziamenti, riduzioni di personale nei centri pubblici d’eccellenza, limitazioni alla libertà dei ricercatori», indicatori di «una crescente politicizzazione della scienza e una riduzione del ruolo della conoscenza nelle decisioni pubbliche».

Pertanto, dato che «un numero crescente di scienziati sta valutando di lasciare il paese per proseguire il proprio lavoro altrove», il manifesto evidenzia che «questa dinamica apre una finestra di opportunità per l’Europa», considerando che, «in un contesto globale in cui la competitività si misura sempre più sulla capacità di generare sapere, l’eventuale arrivo di nuovi ricercatori dagli Stati Uniti rappresenta una risorsa preziosa».

Da qui l’idea di accogliere questi ricercatori in fuga, in modo da «rafforzare le nostre competenze in una varietà di settori strategici dalle STEM (acronimo inglese che sta per Science, Technology, Engineering and Mathematics, cioè scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, ndr),  all’intelligenza artificiale,  alle scienze umane, alla medicina e biologia, alle scienze ambientali, le scienze spaziali e le relative tecnologie,  contribuendo ad invertire un’emorragia pluridecennale di personale formato  nei settori ad alta competenza».

Del resto, «solo in Italia, tra il 2012 e il 2021, più di un milione di persone ha lasciato il paese, con una quota crescente di giovani laureati», per cui «la possibilità di attrarre ricercatori in uscita dagli Stati Uniti, potrebbe rappresentare un contributo concreto al rafforzamento del nostro sistema scientifico e produttivo».

D’altronde, «l’Europa dispone già di strumenti importanti: programmi europei per la mobilità e la ricerca (Horizon, ERC, Marie Curie)», mentre «singoli paesi dell’Ue hanno norme che consentono chiamate dirette per figure accademiche di alto profilo, incentivi fiscali a sostegno dell’assunzione di ricercatori». Dunque, «serve ora una strategia coordinata che consenta di attivarli in modo efficace, garantendo condizioni adeguate, libertà scientifica, continuità professionale e possibilità di integrazione».

Il manifesto ricorda che «nel secondo dopoguerra, l’Europa seppe attrarre menti visionarie e costruire istituzioni comuni che sono oggi punti di riferimento mondiale, come il CERN per la fisica, l’ESO per l’astronomia, l’ESA per lo spazio e l’EMBL per la biologia molecolare e molti altri». Oggi, dunque, è possibile «fare lo stesso, in un momento in cui competenze scientifiche di altissimo livello cercano un nuovo luogo in cui poter operare liberamente», non nel «prevedere grandi numeri, ma [nel] riconoscere il valore di competenze avanzate che possono contribuire concretamente alla nostra capacità di affrontare le sfide della contemporaneità».

Così, i firmatari chiedono «all’Unione Europea, ai governi nazionali e alle istituzioni accademiche e di ricerca di considerare con serietà questa possibilità», nonché «promuovere l’arrivo e l’inserimento di ricercatori in fuga da contesti ostili alla scienza non è solo un gesto di apertura, ma un investimento sul futuro».

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons