Povero professore!

Che ci fa il professore di filosofia Marcelo (un grande Marcelo Subiotto), calvo, capelli lunghi, vestito male, perso nei suoi sogni filosofici, all’università statale di Buenos Aires, chiamata da tutti Puan? Fa il professore, allievo prediletto dell’insegnante appena deceduto Caselli, di cui dovrebbe prendere il posto. A casa è un disastro: la moglie è una inviata speciale televisiva, con la gente che le chiede autografi mentre lui guarda in un angolo imbarazzato, il figlio è più sveglio di lui che ha ben poco tempo per la casa. Per di più arriva Rafael, un argentino invadente che studia e lavora in Germania e ovviamente tenta di rubargli il posto.
Intanto, le riforme dell’ultradestra guidate da Javier Milei scatenano la rabbia degli studenti, perché tolgono fondi all’Ateneo. E lui che fa? Subisce sempre? Si arrende alle umiliazioni, anche quella del rivale Rafael che gli soffia il posto?
Storia antica e storia recente quella delle persone di valore ma poco avvezze agli spintoni reciproci per fare carriera, in ogni luogo, che vengono umiliate da colleghi senza scrupoli e messe in un angolo. Finché Marcelo non capisce una cosa fondamentale: nella vita bisogna saper sempre ricominciare e uscire dal proprio angolino di sicurezze teoriche perché la vita è ben altra cosa.
Un film agrodolce che mescola insicurezza sociale e protesta molto attuale con il disagio di chi crede nel proprio lavoro di insegnante, ma che si trova spiazzato da chi non è più bravo, solo più furbo e popolare. Oggi il populismo dilaga anche a scuola come dappertutto: chi sa parlare bene e fare battute davanti al pubblico, anche se vale poco, ottiene consensi. Marcelo è un po’ “imbranato”, è fragile e insicuro, eccentrico e goffo, sembra quasi un barbone “metafisico”.
I due registi Maria Alchè e Benjamin Naishat lo descrivono nelle sue passeggiate tra le macchine, nei dolci che mangia avidamente, nei dialoghi insicuri in casa, nei rapporti variabili con i colleghi e gli elementi comici non mancano. Ma il film sottende pure una carica emotiva e drammatica sicura: niente è ormai stabile al mondo, né lavoro, né affetti, né stima. Tutto si deve riconquistare. Peccato che il film abbia talora il solito difetto argentino di tendere alla retorica per cui la ribellione contro il governo, vista già molte volte, può apparire superflua e datata. Ma non è il cuore del racconto- apologo che sta invece nella capacità, costretta dalle circostanze, di rinnovarsi, di ricominciare da capo in ogni aspetto della vita, non solo professionale ma sociale e familiare. Ci riusciranno i tanti Marcelo del nostro tempo? Molto interessante.