L’Italia dei giovani migranti: un’opportunità

Accanto ai Rapporti ufficiali sui processi migratori, il Centro Studi e Ricerche Idos pubblica ogni anno anche uno studio monografico su aspetti del fenomeno migratorio. La scorsa settimana è stato presentato alla stampa Orizzonti condivisi. L’Italia dei giovani immigrati e con background migratorio. Un volume curato da Idos e Istituto di Studi Politici San Pio V.
Con lavagne e gessetti, colletti bianchi e fiocchi tricolori per rappresentare in mondo della scuola. E' il flash mob organizzato dal tavolo SaltaMuri, che raccoglie 133 associazioni, il movimento #ItalianiSenzaCittadinanza e la Campagna #IoAccolgo in piazza Montecitorio affinchè la Camera voti urgentemente il riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli di immigrati nati e/o cresciuti in Italia. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Lo studio Idos 2025 Orizzonti condivisi. L’Italia dei giovani immigrati e con background migratorio è un contributo prezioso perché, in un momento come quello attuale di costante e subdola strumentalizzazione politica dei processi migratori, presenta una narrativa realistica del fenomeno giovanile legato all’ambito delle migrazioni che toccano la nostra Penisola.

Il fenomeno è tutt’altro che secondario. Sono, infatti, 1,3 milioni i giovani – ancora minorenni – che vivono in Italia: poco meno di una metropoli come Milano. Il paragone sta a significare che, sebbene si tratti di una piccola minoranza a fronte dei sessanta milioni di italiani, rappresenta un numero importante soprattutto nelle prospettive del futuro del nostro Paese. Si tratta infatti di persone che, almeno nella stragrande maggioranza, non hanno la cittadinanza italiana. Inoltre, nel clima che vige nel nostro Paese, e forse in modo diverso ma ugualmente preoccupante anche in altri angoli dell’Europa occidentale, questi ragazzi e ragazze si trovano a navigare a vista in un mondo a cui – sempre più spesso – sentono di appartenere (l’Italia appunto) e che, tuttavia, pare refrattario a questo loro sentire, anzi pone barriere, moltiplica pregiudizi e rallenta la normalizzazione di un fatto ineludibile. Si continua a non rendersi conto – o forse si pretende di essere ciechi – del fatto che i processi migratori non verranno per nulla arrestati dalle penose e donchisciottesche misure che da più parti si prendono per risolvere quello che, per ottenere i favori di una parte dell’elettorato, si vende come un problema, nascondendo i vantaggi di considerarlo, invece, una grande opportunità.

La ricerca dell’Idos presentata nei giorni scorsi, ricca di più di trenta interventi che esaminano il problema della migrazione giovanile e dei processi di ambientamento o meno nel nostro Paese, fa emergere come l’Italia si trovi a un bivio cruciale, soprattutto in vista del referendum dell’8-9 giugno 2025, che propone di ridurre da 10 a 5 anni il tempo di residenza continuativa necessario ad ottenere la cittadinanza italiana per naturalizzazione. Infatti, ciò che emerge dai vari interventi, è la necessità di garantire ai figli degli immigrati nati e/o cresciuti nel nostro Paese un riconoscimento giuridico e identitario che rispecchi la loro già vitale partecipazione alla vita collettiva. Ho ancora davanti agli occhi lo sgomento e la delusione esistenziale di un giovane italiano di origini asiatiche che si è visto rifiutare la domanda di partecipazione ad un concorso per entrare nella diplomazia italiana. A parte i tratti somatici, che tradivano la sua provenienza da una zona dell’Asia, parlava italiano con le tipiche aspirazioni toscane, ragionava come un italiano ma si vedeva rifiutato da quello che sentiva come il suo Paese. Rischiamo di moltiplicare all’infinito casi come questo con conseguenze deleterie per il futuro dell’Italia e dell’Europa, e non solo quello sociale, ma anche in ambito economico.

Dal rapporto emergono dati molto significativi. Secondo l’Istat, all’inizio del 2024 oltre 1,9 milioni di residenti italiani hanno un background migratorio (1 ogni 30 abitanti) e 1,3 milioni di minorenni sono di origine straniera (il 13% di tutti i minori residenti nel Paese), dei quali più di un milione non ha ancora la cittadinanza italiana, pur essendo nati in Italia o essendovi arrivati in tenerissima età. Nelle scuole della Penisola, due alunni stranieri su tre sono nati sul suolo italiano, ma restano esclusi dai pieni diritti di cittadinanza. Ci troviamo, quindi, a convivere con una normativa inadeguata, che non riconosce l’effettiva appartenenza di questi giovani alla società italiana. Il nostro Paese, dopo un quarto di secolo all’interno del terzo millennio, vive ancora – per quanto riguarda il nostro problema – alla luce della regolamentazione prevista dalla legge n. 91 del 1992, che impone un percorso lungo e tortuoso per ottenere la cittadinanza, penalizzando soprattutto i giovani, che possono acquisirla o per naturalizzazione (10 anni di residenza ininterrotta cui se ne aggiungono mediamente altri 3-4 per le pratiche burocratiche), o per elezione ai 18 anni d’età (con una finestra temporale di soli 12 mesi) o per trasmissione dai genitori divenuti italiani. Si tratta di un sistema che appare più rigido persino della precedente legge del 1912, che invece permetteva la possibilità di una naturalizzazione dopo 5 anni di residenza (è esattamente il termine che il prossimo referendum intende reintrodurre).

Il numero di acquisizioni di cittadinanza da parte di minori è pertanto sorprendentemente basso rispetto alla loro presenza quantitativa nel Paese: nonostante i record registrati nel 2022 e 2023, con quasi 214 mila acquisizioni complessive in Italia per ciascuno dei due anni, nel quinquennio 2019-2023 i minorenni stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana sono stati in totale solo 295 mila. Queste cifre dicono che la media annua è di 59 mila ottenimenti di cittadinanza italiana da parte di minorenni a fronte di oltre 1 milione di loro che risiedono in Italia. Ciò significa che costringiamo la stragrande maggioranza dei giovani con background migratorio a restare per la maggior parte stranieri anche ben oltre la maggiore età.

Dal prezioso studio dell’Idos e dell’Istituto di Studi Politici San Pio V, emerge un quadro preoccupante per la stabilità e coesione sociale futura dell’Italia. Uno studio Istat del 2023 rivela, infatti, che oltre l’80% dei giovani di origine straniera si sente “anche italiano”, un dato che sale all’85% tra quelli nati in Italia. Proprio perché il senso di appartenenza di questi giovani è forte – parlano italiano, vivono la cultura del Belpaese e condividono sogni e aspirazioni con i loro coetanei italiani “di ceppo” –, il mancato riconoscimento giuridico della loro identità può alimentare frustrazione e conflitti identitari anche pesanti. Molti di loro si trovano a dover scegliere tra l’appartenenza alla cultura d’origine della famiglia e a quella italiana, innescando tensioni con la società ospitante o con i propri genitori. Inoltre, la difficoltà di ottenere la cittadinanza può influenzare le loro prospettive future: solo il 45% di questi giovani prevede di vivere in Italia da adulto, mentre il 34% preferirebbe trasferirsi all’estero. È un dato che dovrebbe far riflettere: un Paese che disconosce il contributo, l’attaccamento e il valore delle nuove generazioni rischia di compromettere le proprie speranze di ripresa e di sviluppo.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons